‘Ndrangheta: omicidio a colpi di kalashnikov nel Vibonese,arresto

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Vibo Valentia – I carabinieri della Compagnia di Vibo Valentia hanno eseguito un decreto di fermo della Dda di Catanzaro arrestando a Sant’Onofrio, nel Vibonese, Francesco Fortuna, 36 anni, ritenuto elemento di spicco del clan Bonavota. Fortuna e’ accusato dell’omicidio di Domenico Di Leo, ucciso nel 2004 a Sant’Onofrio all’eta’ di 47 anni a colpi di fucile e kalashnikov. Il delitto, secondo le indagini, sarebbe maturato al culmine di contrasti sulle modalita’ di gestione dell’area industriale del comune di Maierato, centro limitrofo a Sant’Onofrio, entrambi comuni confinanti con Vibo Valentia. Deterimante per le indagini l’apporto del Ris di Messina.

Sono state le tracce di dna rinvenute su quattro guanti in lattice a inchiodare Francesco Salvatore Fortuna arrestato ieri pomeriggio a Sant’Onofrio con l’accusa di aver fatto parte del gruppo di fuoco che tra l’11 e il 12 luglio 2004 uccise Domenico Di Leo. I guanti vennero rinvenuti poche ore dopo il delitto nell’auto abbandonata dai sicari dopo l’agguato. Le analisi hanno consentito di isolare un dna che comparato con il profilo genotipo dell’indagato ha dato “completa sovrapponibilita’”. Ma, come ha spiegato oggi il procuratore vicario di Catanzaro Giovanni Bombardieri, l’inchiesta e’ sostenuta anche da alcune intercettazioni e dalle dichiarazioni rese da diversi collaboratori di giustizia. Per gli investigatori a determinare l’uccisione di Domenico Di Leo furono le frizioni che, in quel determinato periodo storico, erano emerse all’interno del clan Bonavota. La vittima, si legge nel provvedimento di fermo emesso dal pm Camillo Falvo, era “divenuta ‘pedina’ scomoda per il suo clan”. In particolare Di Leo era entrato in conflitto con i vertici della sua cosca per alcuni interessi commerciali sulla zona di Maierato. Avrebbe voluto aprire un autolavaggio proprio nella stessa aerea in cui i Bonavota avrebbero dovuto realizzare un bar. Proprio qualche giorno prima del suo omicidio Di Leo “aveva ‘cacciato’ gli operai che, per conto di Domenico Bonavota, dovevano effettuare gli scavi per la realizzazione di un bar nella zona industriale di Maierato”. Ma non solo, Di Leo era ritenuto responsabile del collocamento di un ordigno che aveva distrutto una concessionaria di autovetture “sotto protezione” della cosca. Secondo gli inquirenti, quindi, nei vertici della ‘ndrina era emerso il “timore che Di Leo potesse porre in essere azioni nei confronti degli stessi maggiorenti del clan, in ragione della sua caratura criminale e della “voglia” che stava maturando di imporsi nell’ambito della consorteria e sul territorio”.

In una intercettazione lo stesso suocero della vittima rivela che “aveva tentato di far comprendere al genero che da solo non poteva scontrarsi contro la cosca Bonavota, della quale faceva parte, ma la frattura in seno al gruppo era divenuta ormai insanabile ed il suo intervento era stato vano”. L’uomo nel colloquio registrato dai carabinieri mostra di accettare con rassegnazione l’eliminazione del genero, nonostante lo stesso lasciasse moglie e tre figli in tenera eta’. Anzi, e’ lui stesso ad affermare che “le cose sono destinate… che quando arriva quel giorno uno deve morire”. I collaboratori di giustizia hanno indicato Fortuna come killer del gruppo Bonavota. Il pentito Raffaele Moscato ha svelato l’attenzione maniacale dell’indagato nel non lasciare tracce, al punto da prelevare e portare con se’, in ogni occasione, sia le “cicche” delle sigarette che fumava che le bottigliette di acqua che beveva: “Ogni volta che spegne la sigaretta se la mette in tasca, anche la bottiglia d’acqua di plastica che sorseggiava se la portava sempre a casa e questo lo fa per non lasciare traccia di Dna”. Accortezze che pero’ non sono bastate per sfuggire all’arresto. Soddisfatto il procuratore Bombardieri per l’esito di una “indagine minuziosa che ha permesso di fare luce su un omicidio cosi’ efferato da lasciare sul luogo del delitto 45 bossoli provenienti da piu’ armi”. Il colonnello dei carabinieri di Vibo Valentia Daniele Scardecchia e il capitano Diego Berlingeri hanno voluto sottolineare l’impegno quotidiano dell’Arma per fare luce sulle dinamiche criminali di quel territorio.

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