‘Ndrangheta: processione interrotta, nessuna contestazione penale

Vibo Valentia – Non avra’ dirette conseguenze penali la partecipazione di Giuseppe Accorinti, 59enne ritenuto a capo dell’omonimo clan, alla processione della Madonna della Neve che il boss stava portando in spalla sino all’interruzione da parte dei carabinieri della Compagnia di Tropea, diretti dal maggiore Dario Solito, e della Stazione di Zungri. Nessun reato in se’ per la “sfilata” di Giuseppe Accorinti e’ stato contestato, atteso che lo stesso ha pendenze con la giustizia di cui pero’ risponde a piede libero. I componenti del comitato organizzatore della processione sono stati tuttavia convocati in caserma per essere ascoltati dai militari dell’Arma allo scopo di capire i rapporti con Accorinti e se la sua partecipazione alla processione fosse o meno concordata.
Problemi di diverso profilo potrebbero avere gli stessi organizzatori della processione in ambito ecclesiastico. Gia’ nel corso della giornata di ieri, il vescovo della diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea, monsignor Luigi Renzo, e’ intervenuto duramente condannando la presenza di Accorinti alla manifestazione, parlando poi di “falle” nell’organizzazione dell’evento. La Chiesa vieta da tempo la partecipazione alle manifestazioni religiose ai condannati per mafia. In tal senso qualcuno degli organizzatori della processione potrebbe essere chiamato a fornire le proprie spiegazioni anche all’autorita’ ecclesiastica locale.

‘Ndrangheta: processione interrotta, chi e’ il boss Accorinti
Ha precedenti penali risalenti agli anni Ottanta Giuseppe Accorinti, 59 anni, ritenuto capo dell’omonimo clan di ‘ndrangheta di Zungri, nel Vibonese, protagonista ieri della processione della Madonna della Neve interrotta dai carabinieri per qualche minuto proprio per la sua presenza fra le persone che portavano il quadro con l’immagine sacra.
Condannato nel 1987 per associazione mafiosa, ritenuto vicino al clan Mancuso di Limbadi (Vv), attualmente Giuseppe Accorinti ha due processi in corso: uno al Tribunale di Roma dopo l’annullamento in Cassazione di due condanne in primo e secondo grado a 21 anni di reclusione (rimediati a Vibo e Catanzaro) per narcotraffico internazionale e un altro per usura in Tribunale a Vibo Valentia ai danni di due testimoni di giustizia. Diverse le condanne rimediate anche per violazione della sorveglianza speciale, detenzione illegale di armi e danneggiamenti.
Problemi con la giustizia pure per i fratelli, soprattutto per Pietro Accorinti, condannato in via definitiva per narcotraffico nell’operazione “Decollo” del 2004. Assolto nel 2006 dal processo “Dinasty” contro il clan Mancuso, Giuseppe Accorinti viene ritenuto dagli inquirenti al vertice del clan attivo nella zona del Monte Poro, con interessi che spaziano dall’abigeato alla droga, sino alle estorsioni e l’usura. I collaboratori di giustizia lo descrivono come un boss temuto e rispettato, un personaggio al centro da oltre 30 anni di diverse dinamiche criminali.

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