Omicidio Scopelliti: 27 anni dopo nessun colpevole

Reggio Calabria – Il 9 agosto 1991 qualcuno vide un’Alfa Romeo 64 addossata a un terrapieno in localita’ Piale di Campo Calabro, lungo la strada che conduce in paese. Dentro, sul lato del conducente, il corpo di un uomo. Allertati, arrivarono sul posto i carabinieri che in un primo momento pensarono a un incidente stradale, ma le ferite che segnavano il cadavere al volto e al torace misero subito in luce che su quella strada poco trafficata si era consumato un omicidio. Un omicidio di mafia di cui resto’ vittima Antonino Scopelliti, 66 anni, sostituto procuratore generale in Cassazione, titolare dei piu’ scottanti processi contro esponenti della criminalita’ organizzata. Solo a bordo della sua auto, di ritorno dal mare, il magistrato fu raggiunto da due sicari, probabilmente in moto, che fecero fuoco con un fucile calibro 12, quello che pochi giorni fa gli uomini della polizia hanno ritrovato, interrato in un fondo agricolo, in una campagna del Catanese.
Scopelliti mori’ immediatamente e la sua auto, senza controllo, fini’ ai margini della strada, facendo pensare a un incidente.
Il ruolo del magistrato nel maxiprocesso a Cosa Nostra fece indirizzare subito lo sguardo degli inquirenti oltre lo Stretto, ma furono due esponenti della ‘ndrangheta, Giacomo Lauro e Filippo Barreca, i pentiti “Alfa” e “Delta”, a parlare espressamente di un patto fra la mafia calabrese e quella siciliana. La morte del magistrato scomodo e incorruttibile, impermeabile a ogni tentativo di “aggiustamento”, sarebbe stata il favore che le ‘ndrine avrebbero elargito ai “compari” d’oltre Stretto a saldo del debito contratto per la mediazione che Toto’ Riina in persona avrebbe svolto mettendo d’accordo le famiglie di Reggio Calabria, protagonista di una lunga faida negli anni Ottanta.

Nessuno, pero’, ha pagato ancora il debito con la giustizia. I killer spararono nell’anonimato e anonimi sono rimasti, cosi’ come i mandanti. Il processo di primo grado vide alla sbarra, tra i boss di Cosa Nostra, proprio Riina, il “capo dei capi” che, vestito da monaco, gia’ latitante, avrebbe raggiunto la Calabria per mettere pace fra le cosche in conflitto dopo l’uccisione del boss Paolo De Stefano, avvenuta nell’ottobre del 1985, che aveva rotto i vecchi equilibri. L’11 maggio 1996 fu pronunciata la sentenza di condanna contro 10 capi di Cosa Nostra, ma la corte d’appello, ritenendo non concordanti le dichiarazioni dei pentiti, fra cui Giovanni Brusca, ribalto’ la sentenza. Tutti assolti per non avere commesso il fatto, un verdetto confermato dalla Cassazione con il pronunciamento del primo aprile 2012. L’11 luglio del 2012 un altro pentito, nel corso del processo “Meta” contro i clan reggini, torno’ sulla vicenda, affermando che a uccidere Scopelliti furono due killer della ‘ndrangheta, per conto di Cosa Nostra. Indagini di fatto mai chiuse, a cui piu’ di recente ha dato nuova linfa un nuovo collaboratore di giustizia, Consolato Villani, chiamato a deporre nell’ambito del processo “‘Ndrangheta stragista” che vede imputati Giuseppe Graviano, boss del mandamento palermitano di Brancaccio, e Rocco Filippone, l’uomo che, per conto della cosca Piromalli di Gioia Tauro (Rc), avrebbe tenuto i contatti fra le due mafie.
Graviano e Filippone sono accusati della morte di due carabinieri, Antonio Fava e Giuseppe Garofalo, omicidio avvenuto il 18 gennaio 1994 lungo l’autostrada Salerno-Reggio Calabria. Un sacrificio voluto, secondo il pentito, ancora una volta, da Toto’ Riina, nell’ambito di un disegno eversivo comprendente gli attentati di Firenze, Roma e Milano contro luoghi simbolo dell’arte e delle istituzioni.
Il ritrovamento del fucile che avrebbe sparato su Scopelliti e l’ottimismo del procuratore Giovanni Bombardieri, che parla di “nuove prospettive di indagine”, lasciano pensare che l’inchiesta sulla morte del magistrato sia piu’ avanti di quanto le apparenze facciano intravedere.