Tavano tra i sette finalisti del festival pugliese “Troia Teatro”

tavano-marcia-lungaLamezia Terme – C’è anche “La Marcia Lunga” di Saverio Tavano tra i sette finalisti del festival pugliese “Troia Teatro” giunto alla sua XI edizione.
Un altro riconoscimento importante, quindi, nel panorama nazionale per questa produzione calabrese che aveva già ottenuto una menzione speciale della giuria del Premio Scintille 2015 Asti Teatro Alfieri- Milano Teatro Menotti “per la coraggiosa messa in scena di un tema delicato come la criminalità organizzata, attraverso la metafora sportiva e la multirazzialità”.
L’opera teatrale interpretata magistralmente da Achille Iera, Soukaina Maktoum e Roberto Calimeri, diretti dallo stesso Tavano, attraverso i tre personaggi racconta storie diverse per cultura, lingua e religione che si confrontano nel disperato tentativo di una relazione ma anche di una interpretazione della propria esistenza. Il tutto all’interno di un quartiere dove coesistono bene e male, malaffare e voglia di riscatto.
Ed è così che sulla scena, “u professuricchiu” (Iera), marciando sul tapis roulant, rivendica subito il suo diritto di appartenenza alla propria terra, la Calabria, dichiarandosi regionalista in un dialetto calabrese ibridato e riservandosi di parlare in lingua quando fa il professore (di educazione fisica) e deve “professare”. Una interpretazione, questa, che offre uno spaccato della vita scolastica ponendo l’accento su quello che è il rapporto docente/studente, non perdendo di vista le classi multietniche che sono ormai una realtà consolidata. Ma non solo. “Il suo dire con toni aspri, la sua forma mentis intrisa di qualche pregiudizio e luogo comune non esprimono, tuttavia, alcuna volontà di offesa. E il suo agire, che si concretizza nel salvare giovani destinati a morte certa allenandoli alla marcia ed educandoli al valore della fatica e del sacrificio, contraddice questo marchio linguistico apparentemente rabbioso. Diventa così il “personal tavano-marcia-lunga1trainer” di due studenti, figli di immigrati ma nati in Italia”.
Infatti, il protagonista, un giovane professore di educazione fisica, è alla ricerca del senso più alto del proprio mestiere in campi di atletica divenuti non luoghi, punti di spaccio e malaffare. Insieme a lui, una giovane donna marocchina in cerca d’identità, attraverso quello che ha sempre saputo fare bene: correre. In una terra non molto differente dal suo Marocco, la Calabria, ostile e selvaggia anche per chi c’è nato e cresciuto, nomade nella sua stessa terra. Il disagio del trapianto in una nuova società, la necessità di appartenere non solo ad una nazione, ma ad un altro substrato sociale, quello del Sud, nel faticoso percorso di identificazione.
Nel professore vi è un passato che non riesce a mettersi alle spalle, il fallimento nel non aver saputo salvare dalla mano nera della criminalità il suo più caro giovane atleta. Ed ora vuole vendicare la sua morte. Così il professore vuole vendicare “poeticamente” la morte dell’allievo, allenando la giovane italo-marocchina, facendole compiere l’acrobazia nel giorno della marcia lunga di San Francesco.
La scena, dominata dall’inizio alla fine dal tapis roulant su cui si alternano i tre protagonisti, è caratterizzata anche da un forte messaggio simbolico rappresentato da quello che è il fenomeno conosciuto come shoefiti (scarpe volanti): un termine che si riferisce alla pratica di legare tra loro i lacci di due scarpe e di scagliare queste ultime in aria, in modo da farle restare appese ai cavi delle linee elettriche o telefoniche. Le scarpe sono legate tra loro dai lacci e vengono lanciate verso i fili. Il fenomeno prende il tavano-marcia-lunga2nome dall’unione delle parole “shoe” (scarpa) e “graffiti” . Questa pratica al sud Italia è usata dalle bande criminali per commemorare un loro membro vittima di un omicidio.
Un messaggio, chiaro, quindi, quello de “La marcia lunga” che il 31 luglio prossimo sarà rappresentata a Squillace nell’ambito degli appuntamenti di “Innesti contemporanei”, il festival di teatro e arti performative che si svolge nel castello Normanno-Svevo nei giorni 30, 31 luglio e 1 agosto e che nasce con l’intento di “innestare” sul territorio una nuova realtà culturale, che possa divenire nel tempo un appuntamento fisso per il luogo, attrazione culturale e turistica.
Un festival, questo, completamente autofinanziato dagli stessi artisti, che hanno deciso autonomamente di donare il proprio spettacolo aderendo all’importante operazione di sensibilizzazione del territorio della pratica teatrale, e delle arti performative.
Obiettivo del festival, infatti, è la creazione di uno spazio ideale dove gli artisti possano esprimersi al meglio, in armonia con la popolazione di Squillace, autentico teatro a cielo aperto.