Fisco: Cgia, da studi settore incassati 18,6 mld in piu’

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Roma – Dal 1998, anno di introduzione, al 2014 gli studi di settore hanno garantito un grosso apporto di gettito alle casse del Stato: a fronte di 46,8 miliardi di euro di maggiori ricavi ottenuti attraverso l’adeguamento spontaneo in sede di dichiarazione dei redditi, questi si sono tradotti in 18,6 miliardi di euro di tasse in piu’ versate all’erario. E’ la stima elaborata dall’Ufficio studi della Cgia, secondo cui sono poco piu’ di 3,7 milioni le partite Iva sottoposte agli studi di settore e oltre il 75% (2,8 milioni di attivita’) e’ congruo, ovvero rispetta le richieste avanzate dall’amministrazione finanziaria in materia di ricavi. Questi contribuenti, tuttavia – fa notare la Cgia – rimangono ancora nel mirino del fisco visto che ogni anno rischiano di subire un accertamento fiscale, sebbene per gli studi di settore siano dei soggetti fedeli al fisco. Nel 2014, infatti, sono stati 160.000 gli accertamenti in materia di Iva, Irap e imposte dirette che hanno interessato le imprese potenzialmente soggette agli studi di settore.
“Questa attivita’ accertativa deve terminare – sottolinea il coordinatore dell’Ufficio studi ella Cgia Paolo Zabeo – e bisogna limitare al massimo il numero di controversie con l’amministrazione finanziaria per togliere quell’ansia da fisco che, purtroppo, continua a investire molti piccoli imprenditori. E’ vero che dopo le sentenze della Cassazione del 2009 gli studi sono stati depotenziati per quanto concerne la valenza in ambito accertativo, ma cio’ non basta. E’ necessario introdurre anche questo regime premiale a beneficio di chi e’ in regola con le richieste del fisco, cosi’ come era stato annunciato verso la seconda meta’ degli anni ’90 in sede di presentazione di questo strumento”.
“Certo – conclude Zabeo – e’ difficile stabilire quanti di questi soldi siano il frutto di una graduale emersione della base imponibile e quanti, invece, siano riconducibili a tasse aggiuntive che i contribuenti hanno pagato, al fine di evitare problemi con il fisco, perche’ l’asticella dei ricavi imposta dagli studi di settore era troppo elevata. Molto probabilmente la verita’ sta nel mezzo, ma ora non possiamo buttare via il bambino con l’acqua sporca. Dobbiamo migliorare la funzionalita’ di questo strumento, rendendolo meno aggressivo”. “Mi permetto di ricordare – sottolinea il segretario della Cgia Renato Mason – che gli studi di settore erano nati per conferire certezza fiscale al contribuente, per rendere piu’ trasparente il rapporto tra quest’ultimo e il fisco e per ridurre il peso delle tasse al mondo delle piccole e micro imprese. Purtroppo, buona parte di questi obbiettivi sono stati disattesi, anche se va riconosciuto il grande lavoro svolto in questi ultimi anni dall’Agenzia delle Entrate che ha introdotto i correttivi anti crisi, ha previsto un regime premiale – ancorche’ insufficiente – per chi si adegua e ha migliorato la rappresentativita’ di questo strumento. Nonostante cio’, il lavoro da fare e’ ancora molto. Oltre a introdurre una forma di immunita’ dagli accertamenti fiscali per quei contribuenti che sono congrui e’ necessario rafforzare i criteri di elasticita’ degli studi, soprattutto nei primi anni di vita delle imprese, sia per evitare rischi di un impatto troppo brusco sulle start up, sia per consentire una graduale applicazione degli stessi, migliorandone cosi’ la taratura”.