Perseo: festini di sesso e droga, il pentito smentisce: “prima regola omertà, seconda il rispetto”

Processo Perseo

Processo Perseo

di Stefania Cugnetto e Claudia Strangis

Lamezia Terme – Secondo round per il botta e risposta tra gli avvocati della difesa e il pentito Giuseppe Giampà, ex reggente della cosca che porta il suo cognome, nel processo Perseo che si sta celebrando al Tribunale di Lamezia, davanti al collegio giudicante presieduto da Carlo Fontanazza e a latere da Francesco Aragona e Tania Monetti. Ultima udienza in cui il collaboratore è apparso collegato in videoconferenza per rispondere alle domande della difesa, e anche quest’oggi non sono mancati  momenti di tensione nell’aula “Garofalo”. Particolare attenzione è stata dedicata agli intrecci tra sesso e cocaina che hanno visto protagonista l’ex boss della cosca, durante il controesame degli avvocati Luca Scaramuzzino e Leopoldo Marchese. Quest’ultimo ha chiesto al pentito se avesse mai fatto uso di cocaina, riferendosi a più di una circostanza narrata dall’altro collaboratore Angelo Torcasio: “una volta sono andato a casa sua – ha raccontato Torcasio – e stava tagliando la cocaina sul tavolo e lui aveva le narici tutte bianche”. Ironica la risposta di Giuseppe Giampà: “forse era farina. Torcasio non sa neanche come è fatta la cocaina”. Ma l’avvocato Marchese ha incalzato il pentito con domande sulla sua vita privata, chiedendogli di sue presunte frequentazioni con alcune ragazze, tra le quali spunterebbe anche una parente di Angelo Torcasio. Domanda ripresa anche dall’avvocato Scaramuzzino che ha chiesto esplicitamente a Giampà se avesse mai partecipato a festini in cui fossero state presenti donne vicine agli associati.
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L’ex padrino ha risposto con un secco no, e proprio prima, rispondendo alle domande del legale, aveva ricordato come tra le “regole” del clan oltre a quella dell’omertà, ci fosse proprio il “rispetto” verso le donne degli associati. Ma la realtà sembra propri diversa rispetto a quella descritta dall’ex padrino. Altri collaboratori non ultimo Giuseppe Catroppa descrivono un comportamento diverso da quello descritto in aula oggi dal “Padrino”.
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Come già era stato fatto nella scorsa udienza di martedì dall’avvocato Pagliuso, anche oggi, dalle domande dell’avvocato Scaramuzzino è trapelata la volontà di mettere in discussione l’autorevolezza del ruolo di capo di Giuseppe Giampà. L’ex padrino ha però difeso il suo “titolo”, rispondendo punto per punto alle domande del legale, dichiarando che “non bisogna ammazzare 50 persone per diventare capo. In fondo un killer rimane sempre un killer. Io ho formato le nuove leve, i ragazzi si fidavano di me e tutti gli affiliati mi riconoscevano come capo”. La strategia difensiva dell’avvocato Marchese si è concentrata, invece, sul continuo evidenziare le discordanze tra quanto raccontato da Angelo Torcasio e quanto detto da Giuseppe Giampà. Una su tutti riguarda la posizione del suo assistito, Antonio Voci, che sarebbe stato a rischio “eliminazione” più di una volta secondo Angelo Torcasio. Al contrario il pentito oggi in aula ha dichiarato di aver pensato di uccidere Voci una sola volta, dopo l’omicidio di Giovanni Gualtieri, aggiungendo poi “se Antonio Voci avevo deciso di ammazzarlo, l’avrei ucciso senza dubbio”. Sulle truffe assicurative si sono invece concentrati l’avvocato Renzo Andricciola e Mario Murone: il primo per la posizione di Franco Trovato mentre il secondo per quella del medico Carlo Curcio Petronio, accusato della produzione di falsi certificati. Il fulcro di entrambi gli interventi è stata la gestione dei proventi dei falsi sinistri: a chi andavano questi soldi? È stato questo il punto su cui più si è discusso e che comunque non ha trovato una soluzione. Giampà ha spiegato che alcune volte i soldi andavano ai singoli partecipanti alle truffe, altre finivano nella famosa “bacinella” della cosca. Per quanto riguarda le singole posizioni degli imputati, gli avvocati Pino Zofrea e Ortensio Mendicino si sono concentrati sui rapporti tra Giuseppe Giampà e Fausto Gullo, che nella scorsa udienza era stato accusato dall’ex padrino di rifornire la cosca di polvere da sparo per costruire bombe. L’avvocato Giuseppe Di Renzo si è, invece, focalizzato sull’evolversi del rapporto tra Franco Trovato e Giuseppe Giampà, che ha definito il suo rapporto con Trovato un’amicizia a 360 gradi “che andava da mangiate e bevute insieme, all’organizzazione di truffe, traffico di droga e omicidi”. L’ultimo controesame è stato quello dell’avvocato Aldo Ferraro che ha chiesto al pentito delucidazioni sul capovolgimento dei ruoli verticistici dopo la rottura con suo zio Vincenzo Bonaddio.
Concluso il controesame di Giuseppe Giampà, nella prossima udienza di martedì a salire sul banco dei testimoni sarà Umberto Egidio Muraca, uno dei giovani delle cosiddette “nuove leve” che proprio con la cosca Giampà ha avuto trascorsi burrascosi passando anche nelle file del clan rivale dei Torcasio.

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