Processo Perseo: in aula la moglie dell’ex boss Giuseppe Giampà

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di Claudia Strangis
– Lamezia Terme – “Ho conosciuto mio marito Giuseppe Giampà nel 2003 all’età di 16 anni, non sapevo del suo ruolo e cosa volesse dire cosca ma le cose cambiarono nel 2007”. Ha esordito così Franca Teresa Meliadò, moglie dell’ex capo clan Giuseppe Giampà, collegata in videoconferenza per rispondere alle domande del pubblico ministero Elio Romano, nell’ambito del processo “Perseo” che si sta celebrando presso il Tribunale di Lamezia. La Meliadò, che ha intrapreso la collaborazione con la giustizia contemporaneamente al marito, ha spiegato quale fosse stato il suo contributo effettivo nell’ambito della cosca. Prima dell’arresto di Giampà nell’operazione Dejavù, Franca Meliadò ha raccontato di non aver avuto contezza di quali fossero i traffici e che, solo dopo, ha preso consapevolezza di quale fosse il ruolo del marito, poiché lo vedeva maneggiare armi e cocaina e anche perché le diede l’incarico di “ambasciatrice”. La Meliadò aveva, infatti, il compito di consegnare ad Alessandro Torcasio ed Alessandro Villella i “pizzini”, di cui lei non conosceva il contenuto, che le venivano dati o direttamente dal marito o tramite suo zio che faceva la guardia penitenziaria nella casa circondariale di Siano. In aula, oggi, la moglie dell’ex padrino ha ricordato due episodi in particolare: uno riguardante il momento successivo alla spaccatura tra Giuseppe Giampà e suo zio Vincenzo Bonaddio, quando Giampà invitò sia Alessandro Torcasio che Alessandro Villella a decidere da che parte stare, ed un altro, invece, quando i due affiliati furono fermati dalle forze dell’ordine durante un viaggio e Villella decise di ingoiare i “pizzini” indirizzati a loro due e non quello rivolto a Saverio Giampà. La donna ha raccontato che Torcasio insinuò il dubbio che Villella avesse volontariamente lasciato che le forze dell’ordine trovassero il “pizzino” indirizzato a Saverio Giampà, che lei stessa in aula ha ammesso di conoscere anche perché suo marito aveva battezzato la figlia. Il ruolo della moglie del boss, però, non si limitava solo a quello di ambasciatrice del marito dal carcere ma in tre occasioni le furono consegnate anche delle somme in denaro, che lei poi avrebbe dovuto dividere tra gli affiliati, sempre secondo le disposizioni di Giuseppe Giampà dal carcere, “ogni mio movimento – ha specificato oggi nell’aula Garofalo – era dettato da ciò che diceva Giuseppe”. Il sistema delle truffe assicurative con i sinistri simulati, messo in piedi dal marito già in precedenza ma in maniera intensiva dal 2008 in poi, non risparmiò neanche lei.

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La Meliadò, confermando quanto già raccontato ai magistrati durante i suoi interrogatori, ha raccontato di essere stata coinvolta in un falso incidente anche perché fu condotta prima da un ortopedico in ospedale per una visita e poi accompagnò il marito in banca per ritirare un assegno. Nel corso del suo esame, oggi, la Meliadò ha poi ricordato che, in qualità di moglie di Giuseppe Giampà, usufruiva di abituali sconti nei più importanti negozi lametini, che le venivano praticati anche dalle commesse “per paura e rispetto”. Rispondendo alle domande della pubblica accusa, Franca Teresa Meliadò, ha ricordato poi di quando Domenico Curcio, cognato di Angelo Torcasio chiese di parlare con lei per portare una “imbasciata” al marito. Era il periodo dell’inizio della collaborazione di Torcasio con la giustizia e la Meliadò fu incaricata di portare la notizia al marito che, quando lo seppe, “non disse nulla ma si fece il segno della croce e capì che era finita”. Solo dopo la collaborazione di Saverio Cappello, ha raccontato la Meliadò, Giuseppe Giampà poi, cominciò a pensare anche lui ad una possibile collaborazione. La prossima udienza di venerdì la moglie del boss sarà sottoposta al controesame degli avvocati difensori degli imputati e successivamente si passerà all’audizione del prossimo testimone.