Processo Perseo: appalti e presunte estorsioni nel Reventino

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-di Claudia Strangis

Lamezia Terme – Nella seconda udienza estiva nell’ambito del processo Perseo, che si sta celebrando al Tribunale di Lamezia Terme, sono stati altri testi della pubblica accusa a salire sul banco dei testimoni. Oltre a due agenti della polizia giudiziaria, Luca Ciriano e Antonio Lia, che hanno riferito, rispendo alla domande del pubblico ministero Elio Romano, del loro lavoro sulle intercettazioni ambientali, telefoniche e audio video e sulle informative redatte su alcuni degli imputati del processo. Comunque al centro dell’udienza sono state le posizioni di Vincenzo Arcieri e Pino Scalise e il loro ruolo nella vicenda delle presunte estorsioni a una ditta di Decollatura, la Petrone, ditta che si occupa della distribuzione di calcestruzzi, di movimento terra e anche di logistica e trasporti. A parlare dei rapporti con Arcieri e Scalise, oggi in aula davanti il collegio giudicante presieduto dal giudice Carlo Fontanazza, sono stati Felice Petrone, il nipote Giandomenico e i cognati di quest’ultimo, Ivo Fazio e Pietro Francesco Gentile, che seppur con qualche imprecisione, hanno ricordato quanto accaduto negli anni che vanno dal 2009 a poco prima degli arresti dell’operazione Perseo, datati luglio 2013. Oggetto del contendere, gli appalti sostanziosi per la superstrada del Medio Savuto, sui quali si sono concentrate le domande dell’accusa e difesa, durante l’esame e il contro esame, cercando di capire se i titolari confermassero quanto dichiarato all’autorità giudiziaria nel 2012. Secondo l’accusa, infatti, Arcieri avrebbe intrattenuto rapporti con i titolari della ditta estorcendo loro denaro, fatti che gli stessi titolari hanno affermato aver subito qualche anno fa.

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Una tesi che è stata messa a dura prova dai “non ricordo” di oggi in aula. Felice Petrone, infatti, ha ammesso durante l’udienza di conoscere Arcieri perché “compari”, e che passava dal cantiere solo per salutare, “in segno di una bella amicizia”, mentre il nipote Giandomenico, dopo aver confusamente ricostruito la vicenda, durante il contro esame degli avvocati Galeota e Ferraro, ha affermato di non aver dato soldi ad Arcieri, e che per quanto riguarda suo zio, non gli aveva mai detto personalmente di aver ricevuto richieste estorsive anche se lui “crede che possa essere successo”. Anche per i rapporti con Pino Scalise tante sono state le contraddizioni nella ricostruzione. Il quadro che emerge dalle dichiarazioni rese in aula, descrive Scalise, secondo Felice Petrone, come un conoscente che ogni tanto aveva lavorato con loro, mentre per Giandomenico Petrone, sapeva che si era lamentato con il capo cantiere più volte che i suoi mezzi erano fermi ma ha affermato “che non gli avevano parlato di imposizioni specifiche” e che lui “comunque non sapeva nulla di più”. Più controversa, invece, la dichiarazione resa in aula da Pietro Francesco Gentile, cognato dei Petrone che ha affermato di essersi rapportato con Scalise per via della sua collaborazione con le ditte dei cognati.

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Il pubblico ministero Elio Romano ha ricordato di quando raccontò dell’episodio in cui Scalise si lamentava della mancata riscossione di denaro per una fornitura di materiale. In quell’occasione, secondo quanto aveva affermato Gentile prima degli arresti del 2013, Scalise avrebbe detto “Le cose prima funzionavano mentre ora il lavoro non è più inquadrato bene, li avete addosso”, suscitando, secondo quanto dichiarato, apprensione da parte di Gentile che affermò davanti alle autorità giudiziarie “conosciamo Pino Scalise nel territorio e ci aspettiamo un atto intimidatorio al cantiere”. Un’affermazione che è stata al centro dell’esame e del contro esame del teste che prima ha ritrattato, poi ha ammesso di non ricordare e, infine, ha confermato quanto dichiarato allora. Dichiarazioni controverse che, però, aggiungono altri tasselli al quadro ricostruito in questi lunghi mesi di udienze. Il processo, per come ha spiegato in aula il presidente Carlo Fontanazza, si concluderà con la sentenza fissata al 18 dicembre.