Omicidio Caccia: ergastolo a Schirripa dopo 34 anni

Torino  – Sono trascorsi 34 anni dal 26 giugno 1983, la sera in cui il procuratore capo di Torino, Bruno Caccia, viene ucciso con 17 colpi di arma da fuoco. Nel capoluogo piemontese Caccia si era occupato di Brigate Rosse e, soprattutto, della ndrangheta, che iniziava a mettere radici in Piemonte. Nei giorni successivi al delitto, proprio le Brigate Rosse rivendicano l’omicidio, ma subito dopo si scopre che non vi e’ alcun collegamento con il terrorismo. A fugare ogni dubbio sono le dichiarazioni di un mafioso, Francesco Miano, che grazie alla confidenze scambiate in carcere con il boss Domenico Belfiore, riferisce ai servizi segreti che ad uccidere il magistrato e’ stata la ndrangheta. Nel 1993 Belfiore, giudicato il mandante dell’omicidio, e’ condannato all’ergastolo.
LE NUOVE INDAGINI E L’ARRESTO DI SCHIRRIPA
Nel 2015, dopo l’esposto presentato dalla famiglia del magistrato rappresentata dall’avvocato Fabio Repici, la procura di Milano avvia un’inchiesta affidata alla squadra mobile di Torino. Nell’estate di quell’anno, Belfiore viene scarcerato per gravi motivi di salute. Torna nella sua casa, nell’hinterland di Torino, e riprende alcuni contatti, tra cui quello con il cognato Placido Barresi, gia’ accusato e assolto in un altro processo per l’omicidio di Caccia. Mentre sono in corso le intercettazioni, effettuate anche grazie ad alcuni trojan su smartphone e tablet, gli agenti della polizia cominciano a inviare lettere anonime con un vecchio articolo de La Stampa e i nomi dei principali sospettati. Tra questi Belfiore, Barresi e Rocco Schirripa, detto “Barca”. I primi due sembrano allarmarsi e ne discutono. Decisiva per gli investigatori una frase intercettata nel corso di una telefonata: “Ti sei fatto trent’anni tranquillo, fattene altri trenta tranquillo” dice Barresi a Schirripa. Il 22 dicembre 2015, a 34 anni dall’assassinio, la squadra mobile di Torino arresta cosi’ Rocco Schirripa, 62 anni, di professione panettiere, ritenuto l’esecutore materiale dell’omicidio Caccia. Dopo sei ore di interrogatorio in questura a Torino, Schirripa viene trasferito al carcere di Milano.

I PROCESSI E LA CONDANNA ALL’ERGASTOLO
Dopo un primo processo annullato nel 2016 per un errore di procedura e all’avvio di un nuovo iter giudiziale, si arriva all’udienza odierna. I giudici, presieduti da Ilio Mannucci Pacini, hanno accolto la richiesta di condanna all’ergastolo da parte del pm della Dda milanese Marcello Tatangelo. Schirripa ha ascoltato la sentenza in piedi nella gabbia riservata agli imputati, non mostrando segni di particolare emozione. Per il pubblico ministero non e’ certo se sia stato Schirripa a premere il grilletto contro il magistrato, ma e’ sicura la presenza del panettiere calabrese nel ‘commando’ della ‘ndrangheta.
Secondo Tatangelo, l’allora procuratore di Torino fu assassinato per “il suo estremo rigore” e per l’interesse verso le “attivita’ finanziarie” del clan calabrese che impedivano all’organizzazione di fare affari.
Alla lettura della sentenza le figlie del magistrato, Cristina e Paola dicono: “C’e’ ancora molto da fare, speriamo che non finisca qui. Ci sono ancora tante cose da indagare e da aggiungere”.