Lamezia: la cronistoria degli attentati ai politici

casadippolito
Lamezia Terme – Uno degli incipit più noti e citati della tradizione filosofica, riprendendo Hegel e Marx, ci ricorda che la storia si ripete sempre due volte. E precisamente: «La prima volta come tragedia, la seconda volta come farsa». Uno sfondo filosofico non molto distante dalla scenario criminale che emerge dalle pagine di “Andromeda”, l’ultima operazione antimafia. A suscitare tale interesse filosofico è un episodio che viene raccontato da un nuovo collaboratore di giustizia che nel raccontare la sua storia criminale porta all’attenzione degli inquirenti anche la collocazione della bomba davanti al cancello dell’abitazione della senatrice Ida d’Ippolito, ordigno che secondo quanto racconta il pentito “era stato posizionato per depistare le forze dell’ordine da un altro episodio che accadde nella stessa sera: cioè l’eliminazione di alcuni appartenenti alla famiglia Torcasio. Una versione che contrasta con una informativa redatta nel 2002, dove si precisa che la collocazione della bomba era un vero e proprio attentato politico e non fu messa per depistare le forze dell’ordine, anche se in quella fase tale ipostesi venne presa in considerazione. Infatti nel 2002 sullo sfondo della guerra tra famiglie mafiose a Lamezia Terme fu presa in esame dagli investigatori anche quella stragista. L’obiettivo , secondo gli investigatori dell’epoca? “Marcare la propria signoria territoriale”. Il ricorso a minacce ed intimidazioni, come programma principale di aggressione, infatti, venne interpretato dagli investigatori come un piano strategico per piegare alla volontà “mafiosa” i poteri politici, perché spiegarono gli inquirenti dell’epoca, “l’utilizzo delle minacce e delle intimidazioni sembra essere collegato ad una crescente preoccupazione della ‘ndrangheta di perdere il consenso e l’influenza sul territorio, considerato di importanza vitale per la sopravvivenza”. Ed in questa ottica, per i titolari delle inchieste dell’epoca che stavano indagando su Lamezia, furono inquadrati gli attentati a Fabrizio Lo Moro, Ida D’Ippolito e Giuseppe Petronio. Tre attentati. Una stessa matrice. Un filo conduttore unico: quello di intimidire. Ma perché i tre attentati avevano una unica matrice? L’ordigno esplosivo, una caffettiera moka, sistemata nelle vicinanze della casa di Fabrizio Lo Moro, segretario comunale, fratello dell’ex sindaco Doris Lo Moro, il quindici marzo del 2002, era identico a quello ritrovato davanti al portone di ingresso dell’ex sottosegretario di Stato Giuseppe Petronio, all’epoca leader della Margherita, il tre maggio dello stesso anno. Gli ordigni, in entrambi gli episodi intimidatori, furono confezionati con la stessa tecnica e con identica fattura. La polvere utilizzata era stata collocata all’interno delle caffettiere. Particolare questo che incuriosì gli investigatori ai quali, appunto, non era sfuggita l’analogia.
Un’affinità che gli inquirenti riscontrano nella “bomba colomba”, ritrovata la sera del trenta marzo del 2002 all’ingresso della villa della senatrice azzurra Ida D’Ippolito. Il pacco “dono” inviato all’esponente forzista, infatti, fu confezionato con la stessa metodologia con la quale era stato preparato l’attentato a Fabrizio Lo Moro e a Giuseppe Petronio. Stessa polvere, identica miccia e grammatura. Ma c’è di più. I tre ordigni avevano lo stesso sistema di innesco. Erano stati preparati per dare la possibilità materiale all’attentatore, o agli attentatori, di potersi mettere a riparo dalla deflagrazione e quindi allontanarsi dal luogo con sicurezza. Elementi questi che furono attentamente valutati ed analizzati scientificamente che indussero gli inquirenti a ritenere che gli ordigni furono stati confezionati da una sola persona.
Le indagini ci concentrano su “cinque o sei persone”, strettamente legati da un sodalizio “politico-mafioso”, che agirono con il chiaro intento di impedire scelte politiche contrarie ai propri interessi. E gli investigatori dell’epoca non elusero che poteva possa esserci una stretta relazione con l’altro attentato, quello contro la famiglia Torcasio, considerato che “i due attentati – riferirono gli inquirenti – dovevano avvenire contemporaneamente”, anche se “in un primo momento si era supposto che quello contro la senatrice d’Ippolito fosse strumentale”, nel senso che “l’esplosione avrebbe dovuto richiamare le forze di polizia in casa d’Ippolito e poi l’altro ordigno avrebbe fatto saltare tutto il rione dove abitano i Torcasio”. Una “ipostesi” questa, che all’inizio fu scartata, ma che oggi, a distanza di tempo, trovò “una certezza investigativa” che emerse da una dettaglia relazione infortiva che fu appunto redatta il 10 luglio del 2002. Ma gli attenti a Frabrizio Lo Moro, Ida d’Ippolito e Giuseppe Petronio non furono i soli atti criminali che fecero ripiombare Lamezia “nel buio”. Altri episodi delittuosi, infatti, contraddistinsero il 2002. Il primo marzo, all’estrema periferia di Lamezia Terme nel territorio di Maida, in un agguato venne assassinato l’avvocato Torquato Ciriaco. Un omicidio eccellente sul quale gli inquirenti sono riusciti a fare piena luce.
Il 30 marzo del 2002, nella sua abitazione, venne ucciso Nino Torcasio. In quella stessa circostanza fu ferito il fratello di Torcasio, Domenico. Il 13 aprile in pieno centro un giovane di ventidue anni, Nicola Gualtieri, sottoposto a sorveglianza speciale, sfugge, poco dopo le 6,15, ad un agguato tipicamente mafioso. Il quattro maggio nelle vicinanze del Bivio Palazzo, all’estrema periferia sud della città, un pastore P. G., sfugge ad un agguato mafioso.
L’otto maggio un atto intimidatorio venne compiuto ai danni di un avvocato lamentino Nicola Veneziano. Il diciannove giugno venne ucciso in un agguato mafioso Salvatore Cannizzaro, 57 anni, alla periferia sud della città, mentre si trovava alla guida del suo pick-up Skoda. Il sei luglio venne assassinato Vincenzo Giampà, 56 anni, fratello del presunto boss della ‘ndrangheta Francesco. Nell’agguato rimase ferito Giovanni Curcio, 43 anni, che era insieme a Giampà. L’otto luglio all’interno di una azienda agricola venne ferito Vincenzo Torcasio, trentasei anni. Il sedici novembre vennero uccisi in pieno centro Vincenzo Palaia, 52 anni e Francesco Grandinetti, 46 anni.