La festa della prima Democrazia moderna. Riflessioni sulle riforme in Italia

di Antonio Pileggi* –

Roma 4 Luglio 2016 – Quasi tutte le Costituzioni scritte sono nate dopo una lotta ad un regime assolutistico nell’eterna guerra tra l’anelito di libertà dei cittadini, da una parte, e la tirannia dell’uomo solo al comando, dall’altra.

Ci sono feste nazionali che in alcuni Paesi durano da secoli e creano radici profonde e identitarie nelle quali le diverse generazioni si riconoscono con rispetto e con sano orgoglio. Ed il rispetto delle festività coincide col rispetto delle Istituzioni disegnate nelle Costituzioni. L’Italia, benché abbia una storia antichissima, è diventata nazione da 150 anni e le sue feste nazionali (escluse quelle religiose) sono nate di recente. Quelle che abbiamo durano da meno di 70 anni.

Il è la data in cui si celebra la dichiarazione dell’Indipendenza degli Stati Uniti d’America. Negli USA si festeggia ogni anno e tutti gli americani vivono un giorno di festa: una festa bellissima. Chi l’ha vista e vissuta può rendere testimonianza su quanto sia importante sentirsi coinvolti nell’atmosfera di una festa di antica tradizione. Una festa in cui non puoi non spiegare ai bambini il perché e per il percome il 4 luglio sia un giorno di festa.

È una data importantissima che segna la nascita del primo stato liberal-democratico moderno nel mondo occidentale dopo le esperienze dell’antica Grecia.

costituzione-1948Basta leggere la Dichiarazione di Indipendenza del 4 Luglio 1776 e la successiva Costituzione adottata nella Convenzione di Philadelphia del 1787 per comprendere un passaggio epocale tra l’assolutismo regio e la democrazia. Infatti la rivoluzione americana ha tracciato un profondo solco in cui sono stati seminati principi e valori maturati nella cultura di stampo illuministico, com’è il principio della divisione dei poteri, tuttora validi non solo in America, ma in molte Costituzioni nate nel secolo scorso, compresa la Costituzione italiana del 1948.

Sarebbe troppo lungo fare un elenco dei principi e dei valori presenti nei documenti di Philadelphia. Ci vorrebbero molte pagine solo per riassumere il percorso storico, politico e culturale che fece maturare la rivoluzione americana. Basta sottolineare che la Costituzione americana, nei suoi elementi essenziali, è ancora valida dopo quasi tre secoli e che nelle prime righe della Dichiarazione di Indipendenza troviamo affermati gli “inalienabili diritti”, riferiti alla Vita, alla Libertà e al perseguimento della Felicità.

Stiamo assistendo, in questi giorni, a forme di terrorismo e ad atroci stragi consumate sulla base di nazionalismi ispirati al fondamentalismo religioso. Abbiamo addirittura appreso che dei terroristi hanno scelto le loro vittime sulla base della conoscenza o meno dei versetti del Corano. Siamo sconvolti e sconcertati dalla barbarie e dalla intolleranza religiosa che generano l’assassinio e la strage in base all’appartenenza, vera o presunta, ad un credo religioso.

Nella Costituzione Americana il problema del rapporto tra religione e libertà dei cittadini è risolto da secoli in modo tale da rendere compatibile la convivenza tra diverse appartenenze religiose. Di contro, il principio del libero Stato in libera Chiesa ha faticato parecchio ad affermarsi in Italia, nonostante le brevi esperienze napoleoniche.

Negli USA la Costituzione è fondata sul principio della classica divisione dei poteri tra Esecutivo, Legislativo e Giudiziario. L’ingegneria costituzionale americana ha dimostrato e sta dimostrando di reggere all’usura del tempo proprio perché sono forti e ben radicati i principi correlati alla divisione dei poteri. Ne abbiamo un esempio in questi tempi in cui il democratico Obama, a capo del Potere Esecutivo, riesce a governare agevolmente ed efficacemente nonostante sia il Senato che il Congresso siano a maggioranza del partito repubblicano.

Questa realtà è sotto i nostri occhi, anche se i media italiani fanno poco o niente per porla in evidenza. Forse fanno poco per non far arrossire di vergogna chiunque in Italia immagina, con il pretesto della governabilità a tutti i costi, di stravolgere o “rottamare” la Costituzione vigente, non per migliorarla, com’è sempre possibile, ma per introdurre un novello ordinamento caratterizzato dall’uomo solo al comando. E dovrebbero arrossire di vergogna coloro che hanno voluto e vogliono un Potere Esecutivo col compito di far approvare, sotto sua dettatura, una riforma costituzionale e una legge elettorale architettate, insieme, per porre tutte le istituzioni sotto il dominio preminente di esso Potere Esecutivo. Gli autorevoli costituzionalisti italiani, che si sono espressi per il NO a questo tipo di riforme, spesso sono animati da fin troppa indulgenza. Infatti si limitano a parlare di un nuovo ordinamento sottoposto ad un “premierato assoluto”. E sono in tantissimi a denunziare il fatto che la legge elettorale voluta dal Potere Esecutivo è simile alla legge Acerbo voluta a suo tempo da Mussolini.

Chi va a Philadelphia e visita i luoghi dove è nata la democrazia in America può comprendere fino in fondo la natura e la portata delle scritte, in diversi idiomi, anche in lingua italiana, sulle vetrate degli edifici nei quali è custodita anche la famosa campana che chiamò a raccolta i cittadini nel corso della rivoluzione americana: “Un Governo giusto … non dipende dai capricci dei singoli governanti.” … “Il potere deve essere separato, equilibrato…”…”Tutto il potere di cui è investito un governo deriva da coloro che sono governati…”

Quanto leggiamo a Philadelphia ci fa capire la gravità di quanto sta accadendo in Italia. Peraltro l’attuale Governo sta mettendo in campo tutta la sua forza “persuasiva” per convincere i cittadini a votare sì per lo stravolgimento della Costituzione. Ed è ineffabile la pretesa di mettere i governati nella condizione di rispondere con un NO o con un SÌ ad un referendum in cui la posta in gioco è la modifica di 47 articoli dei 139 che compongono la Costituzione. Ci vorrebbe troppo spazio per entrare nel merito delle molteplici e complesse riforme sottoposte ad un referendum sconcertante proprio per la complessità e le molteplicità di esse riforme.

Alcuni significativi motivi per il NO alle riforme sono contenuti in un documento di uno dei numerosi Comitati che stanno nascendo. Si tratta del Comitato “Per le libertà dei cittadini, NO al Peggio” il cui comunicato è il seguente:

“La Costituzione deve essere adeguata per dare più poteri ai cittadini e non stravolta con piglio autoritario per diminuirli.

Il nostro NO convinto ha quattro ragioni generali di merito:

Perché tende a cancellare nelle istituzioni l’equilibrio ed il bilanciamento dei poteri, accentrando  tutto nel Governo e nella figura del suo Capo: alla fine, un uomo solo al comando dominerà parlamentari, esecutivo, presidenza della Repubblica, Corte Costituzionale e Consiglio Superiore Magistratura, instaurando un sistema autoritario senza contrappesi;

Perché non supera affatto il bicameralismo, ma lo manipola in modo confuso, contorto e contraddittorio, sottraendo sovranità al cittadino, affidando le nomine dei senatori alle Regioni, pur esse fonte di malgoverno e corruzione, al tempo stesso svuotandole degli attuali compiti legislativi;

Perché è stata approvata da un Parlamento eletto con una legge dichiarata incostituzionale e riproduce, aggravandole, quelle stesse ragioni di incostituzionalità, che consistono nella nomina di parlamentari scelti dai padroni dei partiti, anziché la loro elezione diretta;

Perché peggiora la Costituzione vigente, laddove riformare non significa cambiare tanto per cambiare, ma accrescere la concreta capacità di rispondere ai bisogni di libertà e di partecipazione del cittadino.

 

AntonioPileggi

*Prof. Avv. Antonio Pileggi
Presidente del Consiglio Nazionale PLI
Componente del Consiglio direttivo del “Comitato per il NO alle riforme della Costituzione”
Componente del Consiglio direttivo del “Comitato per un referendum abrogativo delle norme sulla legge n. 52/2015