Pasqua: Catanzaro si ferma per la processione della “Naca”

Catanzaro – Migliaia di fedeli hanno riempito le strade e i vicoli del centro storico di Catanzaro per partecipare e assistere alla “Naca”, la tradizionale processione del Venerdi’ Santo che raffigura la Passione di Cristo. A guidare la processione l’arcivescovo metropolita della diocesi di Catanzaro-Squillace, monsignor Vincenzo Bertolone, presidente della Conferenza episcopale calabrese, accompagnato da tutto il clero e dalle Arciconfraternite che partecipano ogni anno all’organizzazione dell’evento, molto sentito nel capoluogo calabrese. Presenti alla processione tutte le autorita’ militari e civili, a partire dal sindaco di Catanzaro, Sergio Abramo, e dal presidente della Provincia, Enzo Bruno. La “Naca”, che riproduce la Via Crucis del Cristo, e’ l’ultima dei riti del Venerdi’ Santo nel capoluogo calabrese: prima della processione, infatti, l’arcivescovo Bertolone ha celebrato la liturgia della Parola nel ricordo della Passione di Gesu’, con un’esortazione “al Signore a liberare il cuore e le menti dei governanti affinche’ promuovano il bene comune e il progresso sociale”, la preghiera universale e l’adorazione della Croce.

 

L’Omelia dell’Arcivescovo Mons. Bertolone a fine processione

Carissimi fedeli e persone di buona volontà, intervenute all’evento della Naca di Catanzaro, con noi avete ripreso e realizzato una sacra rappresentazione popolare che si perde nella notte dei tempi. Benvenuti al momento più importante della nostra vita religiosa cittadina; benvenuti a questo intreccio tra festa e teatro, religiosità e pietà popolare, liturgia e folklore! Le tradizioni devozionali e religiose, le tante attività collegate alla religiosità e alla devozione popolare calabrese, contribuiscono a dare il volto alla nostra società, non soltanto alle nostre Chiese diocesane: dipingono, ad esempio, anche scenicamente e nei movimenti processionali delle Confraternite, il Volto piagato di Cristo e dì sua Madre Addolorata. A tutti i devoti calabresi auguro, però, di non fermarsi alla passione e morte, di non commuoversi soltanto di fronte al Cristo morto, alle sue piaghe, ai suoi dolori, alle sue lacrime, o alle lacrime delle pie donne e, soprattutto, di sua Madre con il cuore trafitto da sette spade di sofferenza. Quell’uomo-Dio, che sta patendo e soffrendo fino a morirne, è anche il Vittorioso dalla morte, è Colui che riscatta ogni morte e ogni piaga, è fermento di fiducia e di rinascita. Cari amici: Chiesa e città, non sono separate, sono compagne di viaggio, magari per strade diverse però in cammino verso la stessa direzione e verso la stessa meta: la salvezza dell’uomo. La salvezza è una parola che non è sequestrabile da nessuno perché è un valore assoluto; non è un privilegio di pochi, ma è una necessità e un’urgenza di tutti.
La salvezza è quella che Gesù di Nazareth è venuto a portarci, mostrandoci il nuovo volto di Dio, sempre e solo amore, attraverso la sua morte-risurrezione e la sua vita tutta donata, in quest’ amore, ai fratelli: perché tutti gli uomini siano salvi in Cristo, secondo la volontà salvifica universale del Padre. La salvezza cristiana, portata da Gesù, è «perfezione e bellezza» della nostra umanità, quindi liberazione e redenzione da ciò che rende “disumana” la nostra umanità, o perché la limita, impedendole di sprigionare le infinite energie di bene che le sono interiori, o perché la rende opaca, negandole la sua radiosa bellezza nell’ amore o perché la corrompe in tante forme di barbarie facilmente riconoscibili nella vita degli esseri umani. La salvezza cristiana riguarda ogni uomo. Non riguarda solo la sua anima, o le sue idee, ma anche il suo corpo, le sue emozioni interiori e i suoi legami con Dio, gli uomini e il cosmo. La salvezza cristiana è «salvezza comune», salus omnium. Essa nasce con l’ Incarnazione di Dio e pertanto si vive nella carne degli esseri umani, spesso “sordi” all’ ascolto del comandamento di Gesù sull’ amore: «Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi». Ora, se noi utilizziamo segni rituali, dottrine, manifestazioni, organizzazioni, preghiere, ma non siamo in sintonia con Cristo Gesù, perché preghiamo, ma non operiamo la carità, chiediamo misericordia ma non sappiamo perdonare, chiediamo amore, ma non siamo capaci di offrirlo, vuol dire che il nostro cristianesimo è formale, superficiale, non incide nella nostra vita . Se vissuto radicalmente il cristianesimo cambia la vita del singolo, della collettività, della società. Dà “anima” a tutto anche alla politica, in quanto ciò che Gesù ha portato, è qualcosa di più profondo per la stessa vita sociale e politico-ammnistrativa: l’incontro col Signore di tutti i signori, l’incontro con il Dio vivente, l’incontro con una speranza che è più forte delle sofferenze e che trasforma nel cuore vita e mondo, anche delle nostre città.
Il tempo del nostro evento religioso è la primavera, la stagione del risveglio della natura, il venerdì che precede la Pasqua di resurrezione. Oggi siamo tutti coprotagonisti assieme ai bellissimi simulacri portati a spalla, ma lo siamo ciascuno di noi, sul palcoscenico della nostra bella e gloriosa città, con le sue piazze, le sue strade. Il dramma della Passione e morte del Signore che ora si realizza per le nostre strade, deve realizzarsi ora nelle nostre esistenze quotidiane, nel nostro passaggio dal male al bene, dal peccato alla grazia. Amen.