Santo Della Volpe, giornalista sempre in prima fila

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Roma  – Si può andare via in tanti modi. Santo ci ha salutati alla sua maniera. Con una festa. La più bella, divertente, colorata cui ci sia capitato di essere stati invitati negli ultimi tempi. Nessuno poteva immaginare allora che avrebbe potuto avere anche quel significato, quasi un addio anticipato senza le lacrime del lutto ma con la gioia della condivisione.
Si è tenuta meno di tre mesi fa, c’era da celebrare i suoi sessanta anni, una ricorrenza importante che malgrado i timori e i pensieri che da un po’ gli rendevano meno lieve la vita, aveva deciso di festeggiare alla grande, in barba ad ogni possibile preoccupazione. “Preparatevi, domenica si balla” ci annunciava via sms e lì, nella sala che ci ospitava, tutto sembrava parlare di lui. Del suo mondo, del suo modo di essere e di intendere la vita, meritevole d’essere goduta qui e ora, fino all’ultima goccia, anche quando mostrava il suo volto meno gradevole.
Soprattutto quella sera, Santo raccontava sé stesso attraverso la musica che amava, la playlist di una vita che lui stesso ripercorse alla consolle lanciando pezzi di storia del rock, dai Sex Pistols a Bruce Springsteen. Fra tutte, una canzone però volle che rievocassimo e cantassimo con lui, la cover di Joe Strummer di “Redemption song”, la ballata in levare in cui ad un certo punto Bob Marley lanciava una sorta di appello: “Non vuoi aiutarci a cantare questi canti di libertà?”
Ecco il punto. Ricordare oggi Santo Della Volpe vuol dire forse anche questo. Impegnarsi concretamente perché ad intonare i canti di libertà che gli stavano a cuore, non siano più singoli dai tratti eroici, ma tutti noi, un intero coro di cittadini attivi.
Per questo il nostro amico e collega si è speso senza risparmiarsi per anni. Ha aggiunto la sua voce al canto di libertà degli immigrati piegati sui campi di Rosarno e a quello di chi ha visto morire i propri parenti che respiravano amianto in fabbrica nel Monferrato.
Ha denunciato le infiltrazioni delle mafie da Sud a Nord, ma instancabilmente ha anche raccontato la “redemption song” di chi ogni giorno si batte per sconfiggere le cosche in un campo confiscato, in un’ aula scolastica, in un ufficio di procura, nella redazione di un giornale, sfilando per le vie di città a libertà condizionata. Un canto libero che, nel suo mondo, non prevedeva mai solisti, ma la logica delle band che amava, dai Rolling Stones ai Clash.
Era fatto per unire e non per dividere, per far incontrare i diversi e dialogare gli opposti. Non per niente il suo mondo di riferimento era l’associazionismo, da Articolo 21 fino alla Fnsi, passando per Liberainformazione, ci ha consegnato l’idea che in ogni campo (da quello culturale a quello sindacale), “insieme si può” come è scritto sui muri della Calcestruzzi Ericina Libera sottratta ai boss a Trapani per diventare esempio di legalità organizzata.
Un impegno che Santo ha messo soprattutto nel suo lavoro di cronista instancabile, anche negli ultimi giorni con lui discorrevi non di chemio ma di pezzi da fare e di storie da seguire, di quel processo in corso oltre che delle campagne e delle battaglie che conduceva da presidente del sindacato dei giornalisti italiani. Sempre in prima linea, sempre però facendo andare a braccetto la serietà dell’impegno civile con la leggerezza di passioni che rendono piena una vita. Il cinema e il rock, il cibo della terra e l’ebbrezza del mare, il Torino e la letteratura.
“Esempio, passione e impegno” scrive l’Usigrai, “che resteranno sempre con tutti noi, giornaliste e giornalisti della Rai Servizio Pubblico”. Era proprio questa la sua missione, il Tg3 era lo strumento che aveva sposato per servire l’Italia, per pochi come per lui il pezzo del tg era davvero un “servizio”. Anche in assemblea non mancava mai di ricordarci il nostro “dover essere”, l’urgenza di mettere la nostra professionalità a disposizione dei cittadini-spettatori, porgendo l’orecchio ai canti liberi che si levavano dal Paese e che rischiavano di non essere ascoltati.
“Santo ci ha affidato la sua eredità di coraggio, passione e impegno civile” hanno scritto, annunciandone la scomparsa, il figlio Sebastiano, la sorella Luisa assieme a Teresa, sua moglie e nostra amica e collega, per anni una delle firme più prestigiose del nostro Tg3. A loro va il nostro abbraccio fraterno, assieme all’impegno di non dimenticare la lezione che Santo ci ha lasciato.
All’ultima assemblea della Fnsi che lo ha poi eletto presidente, terminando il suo discorso citò ancora una volta l’amato ex leader dei Clash Joe Strummer che definiva “the future is unwritten”. Perché e vero. Il futuro non è mai scritto, caro Santo, soprattutto se saremo d’ora in poi capaci di guardare sempre avanti, con la schiena dritta e la passione per la vita, come hai sempre fatto tu.

Gli amici e i colleghi del Tg3