‘Ndrangheta: Magaro’ scrive a Klaus Davi

Cannizzaro-Magarò- Gabrielli

Cannizzaro-Magarò- Gabrielli

 

Cosenza – “Da qualche settimana sto seguendo con vivo interesse lo svolgimento della campagna “100 comuni contro le mafie” avviata a Trezzano sul Naviglio in Lombardia insieme all’Anci, pronta per essere esportata anche in Calabria. Probabilmente resterà sorpreso nell’apprendere che, in realtà, già da qualche anno sulla porta di ingresso della maggior parte dei comuni calabresi, è affissa una targa recante la dicitura Qui la ‘ndrangheta non entra”. Così Salvatore Magarò si rivolge a Klaus Davi, in una lettera aperta che l’ex consigliere regionale della Calabria ha indirizzato al noto massmediologo. “Ho ideato e promosso questa campagna di sensibilizzazione a partire dal 2010 nella mia qualità di presidente della Commissione contro la ‘ndrangheta del consiglio regionale, riscuotendo apprezzamenti a livello istituzionale, ma anche nel mondo cattolico, dalle associazioni e in alcuni settori della società civile”. Magari precisa che non cerca “primogeniture, mi creda. Al contrario. Il fatto che anche Klaus Davi si sia reso protagonista di una iniziativa analoga a quella condotta dalla mia più modesta persona, è una piccola rivincita nei confronti di alcuni settori della stampa locale e nazionale che non hanno mancato di criticare aspramente la mia attività. Si figuri: sull’argomento c’è chi ha scritto addirittura l’intero capitolo di un libro, inciampando in una serie di errori dettati dalla fretta e dalla disinformazione”.

“Del resto, il tempo è galantuomo. La ‘ndrangheta – aggiunge Magarò – si nutre anche di simboli, di simboli del potere ai quali ho cercato di contrapporre alcuni semplici oggetti di consumo quotidiano in cui racchiudere un pensiero, un breve ragionamento, anche dal tono di voce umoristico e spesso utilizzando il dialetto. Tra questi – spiega ancora Magarò – anche una pillola, la pasticca antindrina: una scatolina dal packaging molto simile a quello dell’aspirina con all’interno una bustina di dischi di cioccolato ed un particolare bugiardino farmaceutico contenente alcuni appunti di tipo sociologico rivolti agli studenti calabresi”. Un modo, prosegue Magarò, “per ricordare che la ‘ndrangheta si propaga alla stregua di un virus e che le manette e le sentenze non sono sufficienti a debellare il morbo. Bisogna scuotere le coscienze, in particolare dei nostri giovani”. Poi ricorda che “un altro prodotto bistrattato a queste latitudini e riabilitato dalla misericordina del Papa. Giocando sul significato metaforico della parola, abbiamo prodotto anche un particolare tipo di pasta: il pacchero alla ‘ndrangheta, che poi si è trasformato in un premio, il “pacchero d’argento” di cui tra pochi giorni, il 18 settembre, celebreremo la sesta edizione.
Certamente una targa non sconfigge la ‘ndrangheta, qualsiasi sia il messaggio che contiene.
Ma ogni cerimonia di affissione ha coinvolto nei vari comuni le istituzioni, le scuole, la parte sana della società civile. Ed è servita per ribadire da quale parte deve stare lo Stato: dalla parte dei giusti, degli onesti, delle persone perbene”. Per Magarò “c’è poi anche il rovescio della medaglia, come la vicenda di un sindaco che quella targa se l’è tenuta per oltre un anno in un cassetto, finché non l’hanno arrestato proprio per i suoi rapporti con la ‘ndrangheta. Tutto questo per dirle che sottoscrivo in pieno l’iniziativa che sta portando avanti con l’ANCI. Continuo a battere il terreno della legalità attraverso l’associazione Più di Cento – Tana per la legalità.
Non mi reputo – conclude Magarò – un professionista dell’antimafia e forse gli otto colpi di pistola che qualche buontempone ha fatto esplodere contro il portone della mia segreteria, dovrebbe dissuadermi.
Ma lo devo alle persone che mi hanno sostenuto ed ai miei collaboratori, coloro che hanno partorito buona parte delle idee che hanno contraddistinto il mio percorso, a cominciare proprio dalla targa contro la ‘ndrangheta. Persone che, probabilmente, e lo dico con una punta di amarezza, se avessero avuto la fortuna di nascere e vivere a Milano forse oggi sarebbero validi collaboratori del suo staff invece di andare ad ingrossare le fila dei disoccupati in Calabria”.