Mafia: morto Bernardo Provenzano, ex capo di ‘Cosa Nostra’

Bernardo-ProvenzanoPalermo – E’ morto il boss Bernardo Provenzano. Il padrino di Cosa nostra, pluriergastolano, detenuto in regime di 41 bis nel carcere di Palermo, da anni stava male ed e’ morto all’ospedale San Paolo di Milano. Il capo indiscusso di Cosa nostra aveva 83 anni ed ormai era fisicamente debilitato a causa di un cancro alla vescica. Diverse perizie avevano certificato il suo stato fisico e mentale precario, il progressivo decadimento cognitivo, l’impossibilita’ di partecipare ai numerosi processi in cui era imputato. I medici avevano certificato come il suo stato fosse incompatibile con il regime carcerario, ma era rimasto recluso al 41 bis. Nell’aprile scorso l’ultima proroga. Provenzano, da dieci anni in carcere, era stato arrestato l’11 aprile del 2006, dopo una latitanza durata 43 anni, in una masseria di Montagna dei Cavalli, nella sua Corleone. La moglie e i figli di Bernando Provenzano erano giunti a Milano il 10 luglio, e il giorno stesso sono stati autorizzati ad incontrare il loro congiunto. Lo comunica il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, ricordando che il boss di Cosa nostra, deceduto all’ospedale San Paolo di Milano, era stato ricoverato il 9 aprile 2014, proveniente dal centro clinico degli istituti penitenziari di Parma.
Provenzano: ‘Binnu u tratturi’, padrino dei segreti di Cosa nostra
La sua latitanza durata 43 anni era finita l’11 aprile 2006. Bernardo Provenzano, detto “Binnu u tratturi”, per la violenza con Bernardo-Provenzano2cui falciava i suoi nemici, corleonese, classe 1933, il capo dei capi di Cosa nostra dopo l’arresto del feroce Toto’ Riina, era stato preso in un misero casolare della sua Corleone. Era ricercato dal 9 maggio 1963, dopo l’ennesimo agguato della faida fra la cosca di Luciano Liggio, di cui faceva parte, e quella del dottore Michele Navarra. Una ‘fuga’ finita nel suo paese, dentro una casa di campagna. In cella si era portato dietro 43 anni di relazioni con palazzi del potere e di misteri, anche sulla presunta trattativa tra lo Stato e la mafia. Fra il 1943 e il 1961 Corleone fu insanguinata da cinquantadue omicidi e ventidue tentati omicidi, oltre un numero imprecisabile di lupare bianche. Il 9 maggio del ’63 Quella mattina di maggio, quattro sicari fra i piu’ temuti – Giuseppe Ruffino, Calogero Bagarella, Giovanni e Bernardo Provenzano – si erano dati appuntamento in strada al sorgere dell’alba. Per ordine di Luciano Liggio avrebbero dovuto uccidere Francesco Paolo Streva, esponente del clan Navarra: “Elemento scaltro, coraggioso e vendicativo – scriveva di lui la polizia, che lo aveva proposto per il soggiorno obbligato – si sposta con due pistole alla cintola”. Quella mattina, Streva riusci’ a rispondere al fuoco e scampo’ alla morte. Fu poi ucciso il 10 settembre. Otto giorni dopo, i carabinieri denunciarono Provenzano: cosi’ il 18 settembre 1963 iniziava ufficialmente la latitanza della primula rossa di Corleone.

Legato sentimentalmente a Saveria Benedetta Palazzolo, con la quale non si e’ mai sposato ma ha convissuto, con lei ha condiviso la latitanza, insieme ai figli Angelo e Francesco Paolo Provenzano, quest’ultimo laureato in lingue e culture moderne, vincitore di una borsa di studio del ministero dell’Istruzione, ottenenendo un posto di insegnante in Germania. Entrambi non hanno seguito le orme del padre. Il 10 dicembre 1969 ‘Binu’ partecipo’ alla strage di viale Lazio, dove l’obiettivo era eliminare il boss Michele Cavataio, “Il cobra”, colpevole di aver messo tutte le famiglie contro e di aver fatto scoppiare la prima guerra di mafia. Provenzano uccise Cavataio spaccandogli il cranio con il calcio della mitragliatrice e poi lo fini’ con un colpo di pistola: dove passava “u’ tratturi” – si diceva non cresceva piu’ l’erba. Dopo la cattura di Liggio nel 1974, prese il potere del clan dei corleonesi Salvatore Riina, affiancato da Bernardo Provenzano e Leoluca Bagarella, il quale, scatenando la seconda guerra di mafia, li porto’ in pochi anni alla guida di tutta Cosa nostra siciliana. Nel 1984 i Corleonesi dopo aver eliminato tutti i rivali diventarono i leader della Cupola mafiosa e Toto’ Riina divenne il capo dei capi di Cosa nostra. I Corleonesi furono l’unica cosca ad avere due rappresentanti nella commissione direttiva: Toto’ Riina e Bernardo Provenzano. Preso il potere nella commissione, il clan corleonese sviluppo’ una strategia aggressiva nei confronti della magistratura e dello Stato. E’ la stagione delle stragi: nel 1992 a Capaci fu ucciso il magistrato Giovanni Falcone e in via d’Amelio Paolo Borsellino; successivamente gli attentati del 1993 a Roma, a Firenze e a Milano.

Dopo la cattura di Toto’ Riina nel 1993, Provenzano diviene il Bernardo-Provenzano3capo dei Corleonesi e successivamente il capo assoluto della mafia siciliana, sostituendo Riina e cambiando radicalmente la strategia, portando l’organizzazione ad una rapida sommersione, facendo riconquistare ai mafiosi l’invisibilita’. Nel 1995 e nel 1996 vennero arrestati rispettivamente Leoluca Bagarella rivale alla successione a capo dei capi di Cosa Nostra e Giovanni Brusca. Dopo la cattura di Leoluca Bagarella, arrestato dalla Direzione investigativa antimafia il 24 giugno 1995, Provenzano ha campo libero e comanda a modo suo. Nel 2002 si ebbe notizia che si fosse fatto operare sotto falso nome (Gaspare Troia) a Marsiglia per un cancro alla prostata, secondo alcune fonti dall’urologo Attilio Manca. In quell’occasione le forze dell’ordine riuscirono ad entrare in possesso di una foto del boss, applicata sulla finta carta d’identita’. Il 24 luglio 2012 la procura di Palermo, sotto Antonio Ingroia e in riferimento all’indagine sulla Trattativa Stato-Mafia, ha chiesto il rinvio a giudizio di Provenzano e altri 11 indagati accusati di “concorso esterno in associazione mafiosa” e “violenza o minaccia a corpo politico dello Stato”, insieme a politici, ufficiali e boss, tra cui Riina. Secondo la ricostruzione fatta il primo febbraio 2010 nel processo per favoreggiamento contro Mario Mori, da Massimo Ciancimino, il boss di Cosa nostra avrebbe goduto, secono quanto raccontatogli dal padre di “una sorta di immunita’ territoriale” fin dal 1992, che gli consentiva di spostarsi liberamente durante la latitanza. Poi la cattura, il progressivo decadimento fisico e cognitivo e la morte a 83 anni con la quale Bernardo Provenzano porta via con se’ tanti, troppi misteri.
Provenzano: legale boss, da tempo vegetale ma negata revoca 41bis
Caltanissetta  – “Per me Provenzano e’ morto nel momento in cui e’ caduto ed e’ stato operato al cervello. Era un vegetale. Piu’ volte Bernardo-Provenzano1ho chiesto la revoca del carcere duro ma la mia richiesta non e’ mai stata accolta”. E’ quanto afferma Rosalba Di Gregorio, avvocato di Bernardo Provenzano sin dai tempi della sua cattura. “Il carcere duro veniva applicato anche ai suoi parenti. Potevano incontrare il loro familiare – aggiunge – solo una volta al mese e dietro ad un vetro. Le sue condizioni di salute si erano aggravate da circa 4 anni. Non aveva piu’ reazioni di nessun genere”.
Lo storico difensore dell’anziano boss corleonese ricorda di avere presentato per suo conto due richieste di revoca del carcere duro e anche di sospensione della pena, che sono state tutte respinte. Il difensore, oggi in aula a Caltanissetta dove e’ in corso il Borsellino quater, ha appreso la notizia via sms direttamente dal figlio del padrino, Angelo. I familiari erano a Milano – dove il padrino era detenuto – da tre giorni. Nel gennaio 2015 il Tribunale di Sorveglianza di Roma, riteneva che “le restrizioni trattamentali siano pienamente giustificate e funzionali rispetto alla finalita’ di salvaguardia dell’ordine e delle sicurezza pubblica, sussistendo il pericolo di continuita’ di relazioni criminali tra Bernardo Provenzano e la potente organizzazione di appartenenza, che annovera latitanti di massimo spicco (quale Matteo Messina Denaro); con la conseguenza che il regime speciale di cui all’articolo 41 bis deve essere confermato”. E il settembre successivo la Cassazione sosteneva che risponde alla necessita’ di tutelare il “diritto alla salute del detenuto” la decisione di negare a Bernardo Provenzano, affetto da “patologie gravi e invalidanti”, il differimento della pena, sottolineando il “rischio per la stessa possibilita’ di sopravvivenza del detenuto che provocherebbe la prosecuzione della sua degenza nel meno rigoroso regime della detenzione domiciliare, in un contesto di promiscuita’ in cui l’assistenza sanitaria non gli potrebbe essere assicurata con altrettanta efficacia”.
Provenzano: Grasso, porta con se’ tanti misteri e verita’
Bernardo Provenzano “porta con se’ tanti misteri, pezzi di verita’ piero-grasso-08-05che abbiamo il dovere di continuare a cercare”. Lo scrive sul suo profilo Facebook il presidente del Senato, Pietro Grasso, ex Procuratore nazionale antimafia.
“Bernardo Provenzano – afferma – e’ stato per decenni il capo di Cosa nostra, macchiandosi di crimini e stragi efferate, nonche’ il vertice delle piu’ segrete trame del nostro tempo. Grazie a una fortissima rete di supporto e’ stato latitante per piu’ di 40 anni. Nonostante le mille difficolta’, nel 2006 riuscimmo a prenderlo, infrangendo il mito dell’invincibilita’ della mafia: da allora e’ stato in carcere, dove oggi e’ morto”.
“Dalla sua cattura – spiega ancora Grasso – e’ iniziata la speranza di un cambiamento fino ad allora ritenuto impossibile: l’impegno per distruggere il ‘sistema Provenzano’, fatto di profitti illeciti e di illegalita’ diffusa, di corruzione e di collusione all’interno sistema politico, imprenditoriale e affaristico. Porta con se’ tanti misteri, pezzi di verita’ che abbiamo il dovere di continuare a cercare. Il bisogno di verita’ e giustizia – conclude – non muore mai”.
Provenzano: Ingroia, sanguinario capomafia ma anche uomo di Stato
“Bernardo Provenzano non e’ stato solo un sanguinario capomafia ingroia-antonioma e’ stato anche un abile uomo dello Stato, di quell’altro Stato che volle la trattativa e che per salvare se stesso scese a patti scellerati con Cosa Nostra macchiandosi insieme alla mafia di Provenzano di delitti e stragi. Non mi stupirei se qualcuno di quest’altro Stato pensasse oggi che Provenzano meriti funerali solenni, funerali di Stato…”. Cosi’ l’ex pm antimafia Antonio Ingroia commenta la morte di Bernardo Provenzano. “Ci sono stati due Provenzano – aggiunge – il Provenzano ‘u tratturi, detto cosi’ per la facilita’ con cui spianava, uccidendoli, i propri avversari, interni ed esterni alla mafia, e il Provenzano ‘ragioniere’, cosi’ soprannominato in quanto raffinato stratega mafioso che sapeva usare la violenza ma anche le arti della diplomazia bellica e della politica. Entrambi hanno sulla coscienza tante donne e uomini innocenti, vittime della violenza mafiosa. Ma lo Stato, quell’altro Stato, non e’ meno colpevole, avendo a sua volta sulla coscienza tante donne e uomini uccisi per proteggere Provenzano, come il medico Attilio Manca”. “Troppi misteri – conclude Ingroia – con la morte di Provenzano non troveranno mai verita’ e giustizia. Misteri di mafia e misteri di Stato che il boss custodiva da anni e che purtroppo non ha mai voluto svelare. Li porta con se’ nella tomba, lasciando una lunga scia di sangue”.

Provenzano: Lumia, Stato impedisca sontuosi funerali a Corleone
“Provenzano e’ morto. Mi auguro che adesso non venga lumia-giuseppesantificato o trasformato in un mito, un ‘capo dei capi’ da celebrare. Sono sicuro che lo Stato impedira’ un sontuoso funerale, magari proprio a Corleone”. Lo dichiara il senatore Giuseppe Lumia, capogruppo Pd in commissione Giustizia e componente della commissione Antimafia. “Provenzano e’ morto e con lui alcuni dei principali e’ piu’ importanti segreti di Cosa nostra. – ricorda – Quelli, ad esempio, sulle collusioni con le “alte sfere” della politica e dell’economia. Provenzano e’ stato un boss dai mille volti. E’ stato Provenzano “u tratturi”. E’ questa una delle facce del boss, quella dell’ uomo estremamente violento che passa sopra tutto e tutti. E’ stato infatti il responsabile di centinaia di delitti, operativo nella strage di Viale Lazio, uno dei principali mandanti delle stragi di mafia del ’92/’93 e dei piu’ efferati delitti”. “Poi c’e’ Provenzano “u ragionieri”. Immagine opposta, ma non in contraddizione con la prima – aggiunge – Uomo abile politicamente a costruire relazioni con gli apparati, con la politica, rappresentante di una corrente di Cosa nostra, magari diversa dallo stesso Riina, ma mai in contrapposizione a lui”. “E ancora – prosegue – il Provenzano che ha saputo trattare con lo Stato, reggere l’intricato rapporto con i servizi, guidare una difficile transizione di Cosa nostra verso quella attuale, che preferisce gli affari e le collusioni con le istituzioni piuttosto che gli omicidi e le stragi. Senza mai dimenticare che quando e’ necessario colpire non si e’ mai tirato indietro, come molti fatti dimostrano, compresa la decisione di eliminarmi”. “Manca invece – sottolinea Lumia – il ‘Provenzano collaboratore’. Forse sarebbe stato impossibile, ma con i miei occhi e con le mie orecchie nel carcere di Parma a 30 centimetri di distanza ho colto in Provenzano un’apertura senza precedenti. Un’apertura che lo Stato doveva verificare fino in fondo, piuttosto che scatenare polemiche, fughe di notizie e divisioni”. “Nonostante la morte di Provenzano – conclude il senatore Pd – Cosa Nostra continua, va avanti con lo stesso Riina, Matteo Messina Denaro e i tanti boss ‘fine pena’ che sono ritornati ad ‘infestare’ il territorio”.
Provenzano: direttore ufficio detenuti,sempre assistito al meglio
“A Provenzano fino all’ultimo momento e’ stata garantita l’assistenza che in condizioni normali non avrebbe potuto avere ne’ in un reparto ordinario, ne’ fuori dal carcere. Il trattamento gli ha consentito di vivere in questi ultimi quattro anni nonostante la gravita’ delle sue condizioni e anche il trasferimento da Parma a Milano, avvenuto nel 2014, aveva il fine di farlo stare nelle migliori condizioni possibili”. Lo ha detto Roberto Piscitello, direttore generale dell’ufficio detenuti del ministero della Giustizia, in merito alle polemiche sulla mancata revoca del 41 bis a Bernardo Provenzano, morto stamane nel reparto di medicina protetta dell’ospedale milanese San Paolo. Il boss due anni fa era stato trasferito da Parma a Milano. Proprio ieri il magistrato di sorveglianza del capoluogo lombardo aveva rigettato la richiesta di differimento pena. I parenti era da venerdi’ a Milano, perche’ le sue condizioni si erano aggravate ed erano stati autorizzati a incontrarlo; poi un improvviso e inaspettato miglioramento ieri, ma il successivo decorso ha portato stamane alla morte.
Provenzano: sindaco Corleone, e’ nostro 25 aprile. No funerali
“La morte di Bernardo Provenzano e’ una liberazione. Oggi si celebra il nostro 25 aprile”. E’ il commento del sindaco di Corleone Lea Savona, alla notizia della morte di Bernardo Provenzano. “Era rimasta una presenza ingombrante – ha aggiunto – nonostante fosse in carcere da parecchi anni. Noi corleonesi continuiamo a pagare un tributo altissimo perche’ ovunque siamo ricordati come citta’ di mafia”. Da mesi lavora al Comune una commissione prefettizia di accesso agli atti per verificare la presenza di infiltrazioni mafiose. “Cosa nostra e’ presente qui come nel resto del Paese, ma la gran parte dei Corleonesi – ha sottolineato il sindaco – e’ onesta. E oggi un pezzo di storia criminale va via. E’ una grande festa di liberazione e mi opporro’ alla possibilita’ che si celebrino qui i funerali”.
Provenzano: vescovo Lorefice,e’ tempo riscatto e rifiuto violenza
“Per lui ci possa essere opportunita’ di misericordia, ma per noi ci sia riscatto e rifiuto di ogni illegalita’, liberazione da ogni potere che schiavizza, affinche’ realizziamo sempre piu’ una citta’ nuova in cui emerga la bellezza di cui ci parla anche la vita di Santa Rosalia”. Lo dice l’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice sulla morte di Bernardo Provenzano, nel giorno della tradizionale Messa a Palazzo delle Aquile, nell’ambito del Festino di Santa Rosalia. Nella sua omelia l’invito, ispirato dal Cantico dei Cantico, rivolto a Palermo, “citta’ bella”, a rialzarsi: “Alzati Palermo, e’ finito l’inverno”. Ma bisogna dire no alla violenza, dire no “all’aggressivita’, ai fiumi di sangue”, in una realta’ in cui “si muore ancora”, dove si assiste alla devastazione degli incendi e “si piange per la mancanza di casa”. Lorefice, che prima aveva incontrato una gruppo di famiglie senzatetto, ha invitato ciascuno a fare la piopria parte per “proteggere e accrescere la bellezza di Palermo”.