‘Ndrangheta: “pax” mafiosa all’ombra dell’affare del Cara

cara-isola60x40Catanzaro – L’elevato flusso di finanziamenti pubblici riservati all’emergenza migranti aveva indotto i clan del Crotonese, protagonisti di un cruento scontro anche a colpi di kalashnikov e bazooka, alla “pax mafiosa”. La possibilita’ di spartire la “torta” dei soldi pubblici sarebbe stata, secondo la Dda di Catanzaro, la principale motivazione della pacificazione tra le cosche Arena e Dragone su un fronte e quelle contrapposte dei Nicoscia e Grande Aracri sull’altro,che, nel primo decennio del 2000, si erano rese protagoniste di un conflitto degenerato in numerose uccisioni e scontri a fuoco. La faida sarebbe cessata, scrivono i magistrati catanzaresi, “proprio quando andava a regime il sistema di drenaggio di denaro pubblico derivato dagli appalti per la gestione del centro accoglienza. Cio’ infatti – si evidenzia – ha costituito l’occasione per una mirata distribuzione delle risorse tra le varie famiglie mafiose interessate a mettere da parte i pregressi dissidi e sfruttare le notevoli opportunita’ di guadagno”. In questo contesto emergerebbero le figure di Salvatore Nicoscia, Pasquale Niscosta di 26 anni, Domenico Nicoscia di 39, di Luigi Manfredi detto “Gigino ‘u Porziano”,del fratello Antonio Manfredi detto “‘u Mussutu”, di Mario Manfredi , e Giuseppe Pullano, detto “la molla”.

Proprio alle dinamiche criminali scaturite dalla pacificazione fra i clan crotonesi e’ stata dedicata una rilevante parte delle indagini svolte dagli uomini della Polizia di Stato appartenenti alle Squadre Mobili di Catanzaro e Crotone, che hanno fotografato la presenza “militare” della cosca sul territorio con particolare riferimento alle estorsioni. La cosca Arena, dopo anni di conflitti con i Nicoscia, anch’essi radicata ad Isola Capo Rizzuto e con la potente consorteria facente capo a Nicolino Grande Aracri, nel limitrofo comune di Cutro (Kr), anche a seguito delle operazioni di polizia giudiziaria che hanno assottigliato le fila dei rivali, ha raggunto con essi la pace, rinnovando la sua leadership nel panorama criminale dell’area ma imponendo la sua presenza, anche sull’area ionica della provincia di Catanzaro. Qui, attraverso i propri affiliati, per mezzo di fiduciari nominati responsabili della conduzione delle attivita’ delittuose o mediante la messa “sotto tutela” di cosche alleate, ha monopolizzato – sottolineano gli inquirenti – il business delle estorsioni ai danni di esercizi commerciali ed imprese anche impegnate nella realizzazione di opere pubbliche. Tra il 2015 ed il 2016, infatti, in particolare a Catanzaro, una cellula della cosca, radicata nel capoluogo regionale, ha perpetrato una serie impressionante di danneggiamenti a fini estorsivi per fissare con decisione la sua influenza sull’area mentre cosche satelliti della famiglia Arena hanno fatto altrettanto nell’area, di rilevante interesse imprenditoriale e turistico, immediatamente a sud di Catanzaro. Proprio nei confronti di queste ultime e’ stata diretta l’attivita’ investigativa dei militari del Reparto Operativo – Nucleo Investigativo di Catanzaro che hanno arrestato 10 persone appartenenti alle due distinte cosche di Roccelletta di Borgia e di Vallefiorita, gia’ considerate entrambe articolazioni autonome del “locale” di Cutro. Tra i destinatari del provvedimento di fermo rappresentanti storici della cosca “Catarisano”, operante nella frazione di Roccelletta di Borgia e zone limitrofe, e della cosca Bruno, operante a Vallefiorita, Amaroni e Squillace. Come emerso da indagini delle Squadre Mobili di Catanzaro e Crotone in assenza dei vertici del clan Arena, perche’ detenuti, il ruolo di reggente era stato assunto da Paolo Lentini, 53 anni, alias “pistola”, soggetto considerato di caratura criminale riconosciuta anche presso esponenti di ‘ndrangheta di altre province.
L’ operativita’ criminale del gruppo criminale, formalmente guidato dagli Arena ” ma facente capo, sul campo, a Lentini e’ risultata orientata ad una capillare gestione delle estorsioni in danno delle attivita’ economiche e commerciali nelle province di Crotone e Catanzaro grazie all’attivita’ di un’ agguerrita “batteria” di pregiudicati catanzaresi demandati alla imposizione del racket. Fra loro Santino Mirarchi, arrestato nel 2016 ed oggi collaboratore di giustizia. Il pentito sarebbe stato “capo squadra” per il territorio di Catanzaro Lido e sarebbe stato autore di una serie di azioni delittuose ordinategli sin dalla fine del 2014, dalla cosca madre alla quale giungevano i cospicui proventi economici illeciti derivanti dal dominio criminale esercitato sul comprensorio catanzarese. Al collaboratore di giustizia era stato conferito il ruolo, oltre che di “esattore” delle attivita’ estorsive per conto della cosca Arena nel capoluogo, anche la veste di referente per l’approvvigionamento di armi e di delegato, per conto di Lentini, ai rapporti con i rappresentanti delle altre cosche di ‘ndrangheta presenti nei territori confinanti nonche’ alla distribuzione degli introiti derivanti dalle attivita’ delittuose finalizzati al mantenimento delle famiglie degli affiliati ed a sostenere le necessita’ logistiche delle cosche di appartenenza. Il flusso di denaro provento delle estorsioni seguiva un duplice canale: il primo legato al taglieggiamento delle “grandi imprese”, impegnate anche in lavori di rilevanza pubblica, le quali erano costrette a corrispondere ingenti somme di denaro con cadenza fissa corrispondente, in particolare, alle festivita’ di Natale, Pasqua e Ferragosto. L’altro riferibile ad una contribuzione con cadenza mensile in danno di esercenti operanti sul territorio, costretti a corrispondere somme di denaro spesso a seguito di danneggiamenti ed intimidazioni. L’attivita’ del clan avrebbe fronteggiato le interferenze di gruppi di nomadi pure dediti ad attivita’ estorsive, le cui azioni minavano l’egemonia e la credibilita’ della cosca Arena Catanzaro. Un noto imprenditore impegnato nel settore delle costruzioni, a sua volta vittima del racket, era al contempo deputato alla raccolta presso i propri colleghi ed alla consegna, direttamente nelle mani dei vertici della famiglia di ‘ndrangheta, di somme pretese a titolo estorsivo. Incaricando l’imprenditore del ruolo di collettore delle somme estorte, gli esponenti della cosca, secondo gli inquirenti, evitavano contatti diretti con le vittime e lo qualificavano come riferimento per eventuali lamentele in ordine ad ulteriori richieste estorsive da parte di terzi.

,