Antimafia: penalisti, politica fiera del suo populismo penale

giustizia-martelletto60x45Roma – “Una politica addirittura fiera del suo populismo penale non ha resistito alla tentazione di approvare una riforma al codice antimafia che fruttera’ assai poco sul piano della lotta alla criminalita’ dei colletti bianchi, ma che certamente contribuira’ ad abbassare in maniera consistente lo standard delle garanzie ed a collocare l’Italia al di fuori dei parametri indicati dalla giurisprudenza Cedu”. A sostenerlo e’ l’Unione delle camere penali italiane, secondo cui “la limitazione del numero dei soggetti a pericolosita’ qualificata a coloro che siano indiziati di delitti contro la pubblica amministrazione, solo se appartenenti ad associazioni a delinquere, sebbene sia volta ad attenuare la piu’ macroscopica delle incongruenze denunziate, non soddisfa in alcun modo le esigenze di garanzia di un sistema preventivo-repressivo che resta del tutto impermeabile alle regole del giusto processo ed al quale la Corte europea ha inflitto di recente una durissima e severa condanna”. “Al coro di giuristi – proegue la nota – che accanto all’Ucpi hanno messo a nudo le aberrazioni di una riforma che implementa le energie e rafforza la mano che brandisce un sistema gia’ fortemente invasivo del campo delle liberta’ di impresa, e dei diritti di circolazione e di proprieta’ dei cittadini, si sono unite le voci di Luciano Violante, del professor Maiello, del professor Cassese, del professor Manes e del professor Fiandaca, il quale auspica una revisione dell’intero sistema della prevenzione, che ne renda meno vaghi e generici i presupposti applicativi. Abbiamo sempre ritenuto che il fenomeno corruttivo si debba combattere con i mezzi della riorganizzazione, della semplificazione amministrativa e dell’efficienza e del rinnovato rigore politico e non attraverso l’utilizzo di strumenti eccezionali, autoritari ed illiberali”. “Crediamo – conclude l’Unione delle camere penali italiane. – che sia necessario pertanto chiedere una profonda modifica del sistema che imponga al Giudice della prevenzione di basare la decisione su prove, e non su meri indizi o sospetti, su dichiarazioni testimoniali piuttosto che su sommarie informazioni raccolte negli uffici delle procure o della polizia giudiziaria, al di fuori di ogni contraddittorio, che insomma la misure personali e patrimoniali, che incidono in modo devastante sui diritti costituzionalmente garantiti delle persone e sulla stabilita’ delle situazioni economico-patrimoniali, siano assistite da quei diritti minimi che costituiscono gli architravi degli ordinamenti dei Paesi civili e sono scolpiti nella Carta dei diritti dell’uomo”.