Mafie: Affari e omerta’, in Piemonte minaccia e’ ‘ndrangheta

Torino  – “A Torino c’e’ la ‘ndrangheta, non risulta che le altre mafie siano cosi’ strutturate. Il nostro obiettivo e’ sequestrarne il patrimonio e ostacolare gli affari che porta avanti”. Cosi’ nel gennaio 2016 il pm Sandro Ausiello, attuale procuratore della Repubblica a Savona, all’epoca capo della Direzione distrettuale antimafia di Torino. In quell’occasione il pm, intervenendo a una seduta della Commissione antimafia del Comune, aveva commentato l’arresto dei fratelli Adolfo e Cosimo Crea, considerati i “padrini” della ‘ndrangheta reggina a Torino, attivi nel traffico di stupefacenti e nelle estorsioni. Dai successivi colloqui tra i pm e le vittime costrette a pagare il pizzo, commercianti e imprenditori, molti dei quali piemontesi, era emerso un dato preoccupante: ad eccezione di un negoziante cinese, nessuno aveva avuto il coraggio di denunciare le ritorsioni.
Proprio questa omerta’ diffusa conferma come la ‘ndrangheta sia temuta dai cittadini. In piu’ di cinquant’anni (le prime presenze malavitose si registrano negli anni Sessanta in Val di Susa) la criminalita’ organizzata ha allargato i propri confini, ritagliandosi un ruolo da protagonista nel traffico di stupefacenti e armi, nella prostituzione e nel gioco d’azzardo. Le famiglie sono riuscite a spartirsi il territorio, creando le cosiddette “locali”, articolazioni territoriali dell’organizzazione.
E’ negli ultimi trent’anni che la ‘ndrangheta ha affermato la sua leadership. Emblematico il caso di Bardonecchia, il primo Comune del Nord Italia sciolto per mafia. Da allora, era il 1995, le azioni di polizia si sono intensificate cosi’ come i sequestri e le confische di beni. Le operazioni “Crimine”, “Minotauro”, “Maglio-Albachiara” hanno confermato come la ‘ndrangheta sia riuscita a farsi largo anche all’interno delle istituzioni politiche. Significativo l’arresto del consigliere comunale di Alessandria, Giuseppe Caridi, cosi’ come lo scioglimento per ‘ndrangheta dei Comuni di Leini’ e Rivarolo Canavese. Seguiranno le operazioni “Colpo di coda” e “San Michele” e i primi processi, che si concluderanno con decine di condanne confermate dalla Cassazione.

Nel 2017, dopo l’operazione “Big Bang” che porta all’arresto di venti persone (fra cui i fratelli Crea), nell’ambito del processo “Alto Piemonte”, la procura comincia a indagare su presunti rapporti tra la dirigenza della Juventus e alcuni esponenti della ‘ndrangheta piemontese, fra cui Rocco Dominello, gia’ capo ultra’ dei Drughi. Il 30 giugno 2017 Rocco Dominello e’ condannato a 7 anni e 9 mesi mentre il padre Saverio a 12 anni e 1 mese. Entrambi, secondo l’accusa, si sarebbero infiltrati nella curva bianconera per gestire il traffico dei biglietti dello stadio, l’ultimo dei business illegali che portano denaro nelle casse dell’organizzazione.
Lo scorso gennaio, durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario, il procuratore generale di Torino Francesco Saluzzo ha ribadito che la ‘ndrangheta “non ha risparmiato quasi nessuna delle province del Piemonte e, seppur lambita, anche della Valle d’Aosta. Una presenza che resta pervasiva – ha aggiunto il pg – nonostante i processi e gli esiti delle decisioni dei giudici, le cui conseguenze hanno permesso di neutralizzare, almeno in parte, pericolosissimi esponenti di quelle consorterie criminali. Esponenti che pero’ – ha precisato Saluzzo – anche dal carcere, a meno che non si tratti di 41 bis, riescono a riannodare le fila, a far trapelare ordini, direttive e a tenere saldamente in mano il potere”.