Mafie: ‘Ndrangheta radicata in Lombardia, “borghesia mafiosa”

Milano – L’immagine piu’ vivida della ‘ndrangheta in Lombardia e’ quella del principale summit tra capi degli ultimi anni al circolo per anziani Falcone-Borsellino di Paderno Dugnano. Sotto la foto iconica dei due magistrati uccisi da Cosa nostra, una trentina di boss, chiamati a incoronare Pasquale Zappia come ‘mastro generale’, consumano lo sfregio alla loro memoria. E’ il 31 ottobre 2009, un anno dopo scattera’ la grande retata dell’inchiesta ‘Infinito’ con cui la Direzione distrettuale di Milano smantella 16 ‘ndrine locali lombarde con l’arresto di 154 persone. Agli atti del processo, che si chiudera’ nel giugno del 2014 con 92 condanne definitive, c’e’ anche il filmato del vertice ripreso da una microspia installata dalle forze dell’ordine. Da allora altre centinaia di presunti affiliati alle cosche lombarde sono finiti in carcere. Molti fanno parte di quella “borghesia mafiosa” di cui ha parlato all’inaugurazione dell’ultimo anno giudiziario il Procuratore generale di Milano, Roberto Alfonso, riferendosi a “imprenditori, professionisti, pubblici funzionari e politici”.
“Da tempo ormai – si legge nella relazione del primo semestre del 2017 presentata dal ministro dell’Interno al Parlamento – le organizzazioni criminali in Lombardia hanno agganciato il mondo delle imprese, con un’operazione strategica che ha consentito loro di intercettare alcune componenti della societa’ civile alle quali altrimenti non avrebbero avuto accesso. Una rete di contatti diventata col tempo vero e proprio ‘capitale sociale’, assieme all”area grigia’, composta da fiancheggiatori funzionali al conseguimento degli obiettivi (…)”.

La penetrazione nel territorio era iniziata nei primi anni ’50, come racconta la recente indagine che ha portato in carcere per corruzione l’ex sindaco di Seregno, quando alcuni ‘picciotti’ si trasferivano al Nord in estate per poi fare ritorno in Calabria alla fine della stagione. Da li’ in avanti la colonizzazione si fara’ sempre piu’ massiccia sviluppando col tempo, da organizzazione rozza qual era, la vocazione a infiltrarsi negli affari.
La prima maxi inchiesta contro la ‘ndrangheta lombarda, ribattezzata ‘I fiori della notte di San Vito’, e’ datata 15 giugno 1994 quando vengono arrestate 370 persone tra Milano, Brescia, Como e Varese. In manette finiscono anche ‘insospettabili’, come medici, poliziotti e carabinieri. Siamo ancora lontani pero’ da quell’organizzazione criminale raffinata e con caratteristiche peculiari che trovo’ uno snodo cruciale negli anni Duemila con la nascita della ‘Lombardia’, l’organo di coordinamento collegato con la Calabria che riunisce le locali del Nord. Ad agevolarne la crescita, il clima di omerta’ piu’ volte denunciato dallo storico capo della Dda milanese, Ilda Boccassini: “Gli imprenditori non si presentano in Procura o alle forze dell’ordine per denunciare un attentato o una minaccia. Preferiscono stare con l’anti-Stato”.
Il primo a rompere il muro e’ stato Vincenzo Francomanno, meccanico arrivato da Cerchiara di Calabria all’inizio degli anni ’80 a Villa Guardia, in provincia di Como. “Mi piacerebbe che altri si facessero avanti – racconta nel libro ‘La mafia siamo noi’ di Sandro De Riccardis – Chissa’ quanti imprenditori ci sono come vittime di questi criminali. Io capisco il loro silenzio, anch’io ho avuto paura. Adesso non ne ho piu’ e, dopo che mi hanno distrutto l’officina, sto ricostruendo. L’importante e’ ripartire”.
E’ finita in un modo ben piu’ tragico la ribellione di Lea Garofalo, uccisa e bruciata fino alla dissoluzione del suo cadavere ad opera di quattro persone (tre ergastoli e una sentenza a 25 anni di carcere), tra cui l’ex marito e boss Carlo Cosco. La colpa di Lea e’ stata infrangere i vincoli delle cosche, troncando con lui. Il suo messaggio di liberta’ viene portato avanti dalla figlia Denise, testimone di giustizia. Quando, il 20 settembre del 2011, testimonia contro il padre davanti ai giudici non ha ancora 20 anni. In quei mesi, stando a quanto ricostruito da una sentenza di primo grado, la ‘ndrangheta per la prima volta arriva a sedere in Regione Lombardia con l’assessore alla Casa del Pdl Domenico Zambetti, che avrebbe pagato i clan per avere i voti necessari alla sua elezione. In primo grado e’ stato condannato a 13 anni e mezzo, pena che la Procura generale ha chiesto di ribadire in appello.