Regionalismo differenziato, la fine del nostro Mezzogiorno

Catanzaro – Ci avviciniamo velocemente al 15 febbraio, la data che il l’attuale governo ha fissato per varare il provvedimento sull’Autonomia richiesta da alcune Regioni del Nord.Il presidente del Veneto,Zaia,nel ruolo di fiero battistrada, ha chiesto di gestire in proprio 23 materie, con relative risorse a partire dal secondo anno del trasferimento. Un provvedimento che, se approvato, creerebbe uno Stato nello Stato e sarebbe destinato a minare l’unità del Paese. Qualche anno fa una richiesta siffatta da parte di una Regione avrebbe suscitato scandalo. Oggi non è più così. Apprestiamoci dunque a registrare la fine del nostro Mezzogiorno. Almeno del Mezzogiorno che abbiamo vissuto dal dopoguerra a oggi. Un territorio debole per ragioni storichee per colpe plurime, attribuibili in parte anche alla classe politica meridionale, ma fortemente incapsulato nello scudo dellanostra Costituzione. La quale, per prima in Occidente, ha inserito all’articolo due “l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Una definizioneche, tempo una settimana, potrebbe apparire priva di senso. E’ un peccato che gli italiani del Sud non se ne siano ancora accorti. Purtroppo la corriva stagione politica di questo nostro tempo, fatta di “mi piace” o di “non mi piace”cancella le riflessioniintermedie tra i due estremi,elude la profondità, elementi di cui in genere siciba il mondo della conoscenza.
Faccio qui una digressione autobiografica, di cui mi scuso. Mi sono occupato di Autonomia per dovere d’ufficio da Ministro degli affari regionali del secondo governo Amato (2000-2001) e all’epoca ho scritto’ per Donzelli due libricini “Se il Nord” e “Il patto di ferro”. Quest’ultimo corredato da una densa appendice di uno studioso di federalismo fiscale, il professore Gaetano Stornaiuolo,per segnalare, fra roventi polemiche, il pericolo per il Sud di un’Autonomia spinta, senza freni. Il tema dunque non è spuntato all’improvviso oggi come un fungo.La Lega ne ha fatto la battaglia della vitafin dalle sue origini. Si è sempre impegnata con tutti i mezzi propagandisticiper far saltare il vincolo solidaristico previsto dalla nostra Costituzione. Per raggiungeretale obiettivo hacostruito per oltre venti anni una cornice demonizzante intorno all’intero Mezzogiorno attraverso campagne razziste, spesso volgari.Se negli ultimi tempi lademonizzazione nei confronti dei meridionalisi èun po’ attenuatalo si deve al rinvenimento, da parte della Lega, di un bersaglio infinitamente più redditizio:i migranti.
Sia come sia,chi nel Sud credeva di averla fatta franca sul tema del federalismo differenziato,grazie a quella mobilitazione massicciaregistratasi nel 2006, che respinse con un diluvio di no il referendum costituzionale sulla cosiddetta devolution, si sbagliava. Oggi, complice la crisi economica e l’attuale, drammatico abbassamento del livello della cultura e della memoria del Paese,l’annosa controversia ritorna con forza sulla scena nazionale alle condizioni capestro stabilite dalla Lega.Salvini e Zaia, con il contributo consapevole di Di Maio, che non intende rischiare una crisi di governo, perché la sua carriera politica andrebbe in frantumi, si accingono a cogliere i frutti del contratto. L’Autonomia sarà approvata quasi in silenzio non attraverso un dibattito parlamentare che un tema tanto divisivo avrebbe meritato,e neanche attraverso uno straccio di discussione nella conferenza dei Presidenti, che avrebbe dovuto essere richiesta dai vertici degli esecutivi regionali del Sud. Nulla. Sarà approvataattraverso una legge ordinaria che nessuno conosce e che il Parlamento non può modificare. Prendere o lasciare, là dove il secondo corno del dilemma, nei fatti non esiste: il M5S malgrado abbia conseguito nel Sud il 47 per cento del proprio consenso, sembra intenzionato a prendere più che a lasciare.
Che fare? Nessuno lo sa. Il Sud sembra rassegnato. Alcuni intellettuali meridionali hannoorganizzato un convegno alla Sapienza a cui, fra gli altri, partecipano Piero Bevilacqua e Gianfranco Viesti, che da anni si battono in difesa del Mezzogiorno. Anche i sindacati, la Cgil per prima, insieme ad altri intellettuali si muovono nella stessa direzione in alcune regionidel Sud. Si tratta di iniziative assai meritevoli che esaltano il valore della testimonianza, ma che temo non avranno la forza neanche di lambire la sfera governativa. Dubito infatti che la grande stampa ne scriverà. La stagione politica è quella che è.A chi possiede un poco di memoria rammento, a fini parzialmente consolatori, che sul finire degli anni ’70 si verificò una protesta memorabile. 35 mila calabresi (avete letto bene 35 mila) guidati dal presidente della Giunta regionale del tempo – si chiamava Aldo Ferrara – con accanto per primi i sindacati i consiglieri regionali, i sindaci, le associazioni di categoria, i parlamentari, capeggiati da Giacomo Mancini e Riccardo Misasi, si recarono a Roma in macchina, in autobus, in treno per protestare con il governo perché il famoso pacchetto Calabria stentava a vedere la luce. Il Presidente del Consiglio, Andreotti, fu costretto a ricevere e a placare un’inquieta e numerosissima delegazione che aveva invaso la sala verde di Palazzo Chigi. Confesso di avvertire, al ricordo, un fiotto di nostalgia. Solo per un attimo però perché la nostalgia, si sa, è un sentimento decadente.
Agazio Loiero