Dia: ‘ndrangheta silente, ma molto attiva sul fronte affaristico imprenditoriale

Roma – È stata pubblicata la Relazione Semestrale, sulla criminalità organizzata calabrese, redatta dalla DIA. Le analisi delle risultanze investigative e giudiziarie del semestre di riferimento restituiscono, ancora una volta, “l’immagine di una ‘ndrangheta silente, ma molto attiva sul fronte affaristico imprenditoriale, sempre più leader dei grandi traffici internazionali di droga, quindi in costante ascesa per ricchezza e “prestigio”. L’affermazione criminale dei clan calabresi è da ricondurre, in prima battuta, ai vincoli tradizionalistici e familiari, che la rendono ben salda già dalla base, ossia dai legami di sangue, preservandosi in tal modo, quasi del tutto, dall’esposizione al rischio del pentitismo. Proprio questo risulta tuttora l’aspetto principale che pone la ‘ndrangheta quale interlocutore privilegiato per i più importanti gruppi criminali stranieri, in quanto partner affidabile per qualsivoglia affare transnazionale. I narcos sudamericani, in particolare, paiono apprezzare ormai da diversi decenni l’impermeabilità delle consorterie calabresi a forme di collaborazione con le istituzioni, che potrebbero compromettere l’immissione nei mercati delle ingenti produzioni di droga. Ciò rende la ‘ndrangheta sicuramente l’organizzazione criminale più “referenziata” sul piano internazionale e soprattutto, in grado di instaurare interazioni e forme di collaborazione con interlocutori di qualsiasi tipo. Le più importanti inchieste degli ultimi anni hanno fatto ampia luce proprio sulla spiccata attitudine degli ‘ndranghetisti a relazionarsi efficacemente sia con efferate organizzazioni criminali estere, quali appunto i narcos, sia con le altre organizzazioni mafiose del Paese, sia con esponenti politici, imprenditori o professionisti in grado di favorire la produttività dei propri business. Una capacità adattativa che ha permesso ai clan di acquisire sempre più segmenti di infiltrazione anche nel panorama politico ed istituzionale, conseguendo appalti e commesse pubbliche. Allo stesso modo, la penetrazione dei più svariati settori imprenditoriali favorisce l’inserimento nei circuiti societari più sani, talvolta “scalandoli” fino a raggiungerne la titolarità e, comunque, utilizzandoli per il riciclaggio e i proventi illecitamente accumulati al fine di acquisirne di nuovi sempre più ingenti”.
Nei territori di Catanzaro, Cosenza, Crotone e Vibo Valentia continua a registrarsi un graduale e costante ricambio generazionale, con la relativa mancanza di leader, conseguente alle inchieste che hanno portato a numerosi e significativi arresti. Analizzando le diverse attività illecite poste in essere dai sodalizi del territorio, non mancano rapporti ben collaudati con la criminalità organizzata albanese e maghrebina, per gli approvvigionamenti di marijuana dall’est Europa e dal nord Africa, nonché con i maggiori cartelli colombiani e messicani per quanto riguarda la cocaina. Il periodo in esame è stato caratterizzato dall’ormai consolidato modus operandi della criminalità organizzata attiva nel Distretto catanzarese che, se da una parte continua ad utilizzare la violenza, la forza d’intimidazione e dell’assoggettamento, dall’altre tende ad assoldare amministratori, imprenditori e funzionari pubblici. Emblematica, in tal senso, risulta l’inchiesta “Rinascita-Scott”, coordinata dalla DDA di Catanzaro e conclusa dai Carabinieri il 19 dicembre 2019 nel territorio di Vibo Valentia, che sarà descritta nel paragrafo riguardante la provincia di Vibo Valentia.
In particolare, per quanto riguarda il territorio della provincia di Catanzaro spicca, tra gli eventi di maggior allarme sociale e mediatico dell’ultimo periodo, lo scioglimento, l’11 marzo 2019, dell’organo di direzione generale dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria57, al quale ha fatto seguito, il 13 settembre 2019, un analogo provvedimento nei confronti dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Catanzaro, sciolta a causa dei forti condizionamenti esercitati dalle locali organizzazioni criminali. Si fa riferimento, tra l’altro, alle risultanze investigative scaturite dall’inchiesta “Quinta Bolgia” che aveva portato, nel mese di novembre 2018, all’arresto di 24 persone tra le quali ex componenti del management dell’Azienda.
Stando agli esiti dell’indagine, si legge nella relazione: “la cosca lametina Iannazzo-Cannizzaro-Daponte aveva un controllo totale dell’ospedale di Lamezia Terme, nonché della fornitura di ambulanze sostitutive del 118, oltre che dei servizi di onoranze funebri, della fornitura di materiale sanitario, del trasporto sangue ed altro. I profili di criticità riscontrati saranno meglio illustrati nel paragrafo dedicato alla provincia di Catanzaro. Per altro verso, le ultime risultanze investigative hanno confermato la tendenza delle consorterie calabresi a instaurare forme di utilitaristica collaborazione con gruppi di diversa matrice mafiosa ed, in particolare, con Cosa nostra. Dalle investigazioni è emerso, infatti, che la cosca Iannazzo-Cannizzaro-Daponte di Lamezia Terme aveva assunto il controllo dell’ospedale locale proprio grazie al management dell’Asp, per il tramite di due esponenti politici locali, di cui uno componente del Consiglio comunale lametino, sciolto nel 2017 per infiltrazioni mafiose. In tale contesto, grazie alla connivenza di amministratori pubblici e politici, le cosche gestivano, tra l’altro, il servizio di ambulanze sostitutive del 118, le onoranze funebri, la fornitura di materiale sanitario e il servizio di trasporto.
Dalla lettura della proposta di scioglimento a firma del Ministro dell’Interno, infatti, si evince come sia stato
realizzato una sorta di regime di monopolio da parte della predetta cosca “…nell’ambito dei servizi sanitari, favorito soprattutto – secondo quanto ricostruito dagli investigatori – dai privilegiati rapporti intercorrenti tra esponenti della ‘ndrangheta locale e numerosi dipendenti anche di livello apicale dell’azienda sanitaria provinciale di Catanzaro…”, con specifico riferimento a due gruppi imprenditoriali riconducibili, appunto, alla locale consorteria criminale. Infatti, le indagini avevano fatto emergere un quadro particolarmente allarmante all’interno dell’ospedale di Lamezia Terme evidenziando, soprattutto nel reparto di Pronto Soccorso, il totale controllo criminale favorito dallo stato di soggezione del personale medico e paramedico. È emerso altresì, che numerosi dipendenti “… annoverano precedenti e/o pendenze penali concernenti reati associativi o contro la pubblica amministrazione. Più nel dettaglio, alcuni dirigenti e dipendenti dell’azienda sanitaria provinciale risultano coinvolti non solo nell’operazione di polizia giudiziaria da cui è scaturito l’accesso, ma anche, a vario titolo, in ulteriori procedimenti penali relativi a gravi delitti quali turbata libertà degli incanti, peculato, falso ideologico commesso da pubblico ufficiale ed altri…”. Appare evidente che i clan della ‘ndrangheta attivi nel Distretto rivolgono un interesse concreto verso la pubblica amministrazione, al fine di influenzarne qualsiasi azione che porti profitto, da affiancare alle tradizionali condotte criminali tipiche”.
Per quanto riguarda il lametino, emerge come “L’operatività delle cosche Giampà e Cerra-Torcasio-Gualtieri nella zona di Nicastro e Iannazzo-Daponte-Cannizzaro nella zona di Sambiase ed aree limitrofe caratterizzano la mappatura criminale nella zona di Lamezia Terme. Proprio nel territorio lametino, il 13 settembre 2019, nell’ambito dell’operazione “Crisalide 3”, i Carabinieri di Lamezia hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 28 indagati, ritenuti responsabili di associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti, coltivazione di sostanze stupefacenti, detenzione e porto abusivo di armi, estorsione, ricettazione e danneggiamenti”.
Come ampiamente illustrato nel Focus “Mafia & Rifiuti”, pubblicato nella Relazione relativa al I Semestre 2019, inchieste come quella denominata “Quarta copia” – conclusa dalla Polizia di Stato il 6 dicembre 2019, a Lamezia Terme, con l’esecuzione di un provvedimento restrittivo nei confronti di 20 soggetti – dimostrano “l’estrema duttilità e la spiccata capacità dei trafficanti di rifiuti di rimodulare agevolmente, in caso di necessità, le direttrici illegali. Gli indagati sono accusati, a vario titolo, dei reati di traffico illecito di rifiuti ed inquinamento ambientale. Quattro di essi erano già stati raggiunti, il 7 ottobre 2019, da un provvedimento cautelare, emesso dall’AG milanese, nell’ambito dell’inchiesta “Feudo”. Per tutti è stata disposta la misura interdittiva del divieto di esercizio temporaneo di attività professionale e imprenditoriale nel settore in argomento, nonché il sequestro preventivo di due società, con sedi a Gizzeria (CZ) e a Dozza (BO), e dei relativi compendi immobiliari. Uno dei promotori, residente ad Erba (CO) è il figlio di un esponente del locale di Milano coinvolto nell’operazioni “Infinito” della DDA di Milano (luglio 2010), “ha dato prova, insieme ai suoi complici, di forte capacità di “reinventarsi”, essendo stato ampiamente messo in luce come il gruppo criminale, dopo una battuta di arresto” – causata dall’intensificazione dei controlli, in Lombardia, dopo i numerosi casi di incendio della spazzatura stoccata illegalmente in capannoni – “è riuscito a rimettere in sesto l’attività di gestione abusiva di rifiuti”. Le indagini sono state originate da un sequestro – operato il 21 giugno 2018, nell’ambito dell’inchiesta “Feudo” della DDA di Milano, dal Commissariato P.S. di Lamezia Terme – di un autocarro nell’atto di sversare illegalmente rifiuti in un sito ubicato in località “Bagni” del Comune di Lamezia Terme. La conseguente attività operativa, coordinata inizialmente dalla Procura della Repubblica lametina, riusciva a far luce su una organizzazione criminale, che gestiva in modo illecito la filiera del recupero e dello smaltimento dei rifiuti. Gli accertamenti effettuati hanno poi permesso di acquisire significativi elementi probatori in ordine a diversi episodi di illecito conferimento di rifiuti, svelandone un vero e proprio traffico illecito, con conseguente inquinamento ambientale dei terreni ove venivano sversati, peraltro individuando una ulteriore discarica abusiva in località San Sidero, prossima ad alcuni di corsi d’acqua che attraversano l’intero territorio urbano del comune di Lamezia Terme”.
Inoltre, sempre nell’area lametina, emerge ancora dalla relazione semestrale della Dia: “risultano forti i legami tra i sodalizi locali e la famiglia Mancuso di Limbadi (VV) e consolidati i rapporti tra i Cerra-Torcasio-Gualtieri con le ‘ndrine di San Luca (RC)”.