Incendio Godino: Arzente svela il mistero

di Claudia Strangis

– Lamezia Terme – Potrebbe essere fatta piena luce su uno degli attentati che hanno colpito Lamezia in questi anni. In alcuni verbali dell’operazione “Chimera” spunta il nome di chi avrebbe materialmente provocato l’incendio dell’edificio di proprietà della famiglia Godino. Un attentato che, sia per la sua entità che per la gravità dell’atto, l’ennesimo in quella settimana dell’ottobre del 2006, scosse talmente l’opinione pubblica da finire su tutti i giornali locali e nazionali e che fece mobilitare buona parte della cittadinanza lametina. A parlarne a distanza di otto anni è Luciano Arzente, ex affiliato ai “Cerra-Torcasio-Gualtieri”, diventato poi uno dei protagonisti delle “Nuove Leve”, il gruppo che faceva capo a Umberto Egidio Muraca, finito nell’inchiesta “Perseo”, poi diventato collaboratore di giustizia. Arzente è l’ultimo pentito in ordine di tempo e il primo della cosca “Cerra – Torcasio – Gualtieri”.

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Leggendo uno dei verbali che racchiudono le dichiarazioni che il pentito ha rilasciato ai Militari dell’Arma, vengono indicati autori, mandanti e movente dell’attentato. Arzente, rispondendo alle domande, parla della figura di Francesco Torcasio “Carrà” specificando che “si muoveva insieme a tale L.G. molto attivo nella cosca ‘Cerra-Torcasio-Gualtieri’” e che “avrebbe posto in essere anche l’incendio di un capannone di Godino situato vicino al commissariato di Lamezia Terme, sempre su mandato di Francesco Torcasio Carrà e sempre a scopo estorsivo”. La matrice estorsiva sarebbe, quindi, alla base di questo e di altri attentati messi a segno dalla cosca per far prevalere il controllo sul territorio lametino. Quello che doveva essere solo un avvertimento da parte della cosca, si trasformò in un incendio che durò due giorni perché all’edificio erano annessi anche l’officina e il deposito di pneumatici, tutti completamente distrutti con danni economici ingenti. L’attentato divenne un vero e proprio caso e fu eretto a simbolo della lotta alla criminalità, tanto che se ne occuparono anche emittenti televisive nazionali, proprio perché in quella settimana, in cui avvenne anche un duplice omicidio, l’attentato a Godino fu il culmine di una serie di atti intimidatori messi a segno dalle cosche lametine.

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Quello di Godino non è l’unico atto a scopo estorsivo messo a segno dalla cosca “Cerra-Torcasio-Gualtieri”, di cui parla Arzente. Il collaboratore, in un altro verbale di interrogatorio, ha raccontato, tra gli altri, anche dell’estorsione ai danni di C.G., proprietario di una ditta di rivendite di barche. Secondo la ricostruzione del pentito e l’estorsione nasce da uno “sfizio” di alcuni affiliati. Arzente ha raccontato: “posso riferire che G.C., figlio di Nino Cerra (Cl.48), stava costruendo una barca insieme ad Antonio Paradiso dietro l’abitazione di quest’ultimo e in quel periodo vedevo spesso che entrambi portavano pezzi di barca per la costruzione di questa imbarcazione”. I pezzi dell’imbarcazione prelevati a titolo estorsivo, presso la ditta in questione, venivano utilizzati esclusivamente per la costruzione di un’imbarcazione di uno degli affiliati, che tra l’altro viene perfettamente descritta dal pentito durante la sua deposizione. Questi e altri atti estorsivi sono racchiusi in uno dei tanti verbali che fanno parte del grande fascicolo “Chimera”, che racconta minuziosamente, grazie all’attività investigativa e alle dichiarazioni dei collaboratori, i retroscena della cosca “Cerra-Torcasio-Gualtieri”.

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