Omicidio Aversa-Precenzano, tutti sapevano
La cosca Cerra-Torcasio-Giampà aveva programmato l’agguato per il novembre del 1991
Lamezia Terme – La cosca “Cerra-Torcasio-Giampà” aveva programmato di eliminare il sovrintendente di polizia Salvatore Aversa e la moglie Lucia Precenzano già nel novembre del 1991. Un’esecuzione di cui molti esponenti del mondo criminale lametino erano a conoscenza e che diedero il loro consenso, perché Aversa “dava fastidio a tutti i clan di Nicastro: Cerra, Torcasio e Giampa”.
Un aspetto, questo, finora sconosciuto alle cronache ma che emerge a distanza di anni nel leggere “Chimera”, il nome in codice che è stato dato all’ultima operazione antimafia della Direzione distrettuale antimafia contro la cosca “Cerra-Torcasio-Gualtieri”. Nel leggere giorno dopo giorno il voluminoso fascicolo si scoprono atti importanti, come un verbale che risale al lontano il 1995 in cui sono contenute le dichiarazioni di un collaboratore, che ti portano poi a spulciare altri incartamenti contenuti nei fascicoli di altri procedimenti giudiziari, come la sentenza di condanna emessa nei confronti di Francesco Giampà, ritenuto il mandante del duplice omicidio di Aversa e Precenzano e scopri che tutti sapevano che l’ispettore di polizia e la moglie dovevano essere uccisi.
Un omicidio che probabilmente poteva essere evitato se qualche confidente delle forze dell’ordine avesse riferito in anticipo ciò che il 21 dicembre del 1991 aveva appreso un certo Pasqualino D’Elia nel corso di una visita da parte di alcuni esponenti della criminalità lametina facenti parte dello stesso sodalizio, che gli riferirono che «l’ispettore Aversa sarebbe stato ucciso e che dunque bisognava precostituirsi un’alibi, nella prospettiva delle future indagini delle forze dell’ordine, alle quali tutti loro sarebbero stati certamente sottoposti in quanto personaggi di spicco nell’ambito della locale criminalità». Una pagina della storia criminale lametina sconosciuta fino a nostri giorni e che è venuta fuori nell’analizzare le schede del fascicolo “Chimera”, all’interno della quale sono contenuti fascicoli che si ricollegano a vecchi verbali di collaboratori di giustizia che risalgono al 1995, quando ancora in città era dominante la cosca “Giampà-Torcasio”, capeggiata da Francesco Giampà detto il “professore”. Tra questi atti c’è anche il verbale di un vecchio collaboratore di giustizia, Antonio Recchia, che per alcuni anni ha trascorso un periodo di carcerazione con “il professore”. Un verbale c’è scritto che Recchia è stato «in grado di riferire circostanze utili alle indagini relativamente all’assassinio del sovrintendente della Polizia Salvatore Aversa e di sua moglie». Un duplice omicidio che sconvolse l’opinione pubblica e per il quale furono arrestati Giuseppe Rizzardi e Renato Molinaro, sulla base delle dichiarazioni di Rosetta Cerminara, poi smentita nei fatti dalle dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, tra questi Recchia, che era stato già informato da Francesco Giampà nel 1993.
Una storia giudiziaria che ha avuto diversi risvolti, fino a quando Salvatore Chirico e Domenico Speciale non si assunsero la paternità del duplice omicidio, scagionando definitivamente Rizzardi e Molinaro, quest’ultimo deceduto il 18 giugno del 1997. Relativamente al duplice omicidio Recchia, l’11 febbraio del 1995, davanti ai pm Salvatore Curcio e Giancarlo Bianchi, riferì che «erano stati condannati due ragazzi che, alla stregua delle sue informazioni», non li riteneva «gli autori materiali». Recchia era convinto di questo, in quanto tale circostanza l’avrebbe appresa dallo stesso Giampà nel corso di alcune conversazioni durante un periodo di comune detenzione. Un rapporto che Recchia avviò con Giampà quando erano rinchiusi nel carcere di Potenza negli anni 1977-1978, e insieme «trascorrevamo diverso tempo in quanto la sera, la domenica e le festività mangiavamo quasi sempre insieme». Avvenimenti, riferì il pentito, «che in pochi facevamo insieme e che in carcere si chiama “socialità”». Recchia, ancor prima di riferire le circostanze sull’omicidio Aversa, ai due magistrati raccontò che «sul piano dei rapporti tra vari locali mafiosi, Franco Giampà era riconosciuto da tutti i locali della Sibaritide, particolare egli ben conosceva Giuseppe Cirillo col quale intratteneva solidi rapporti di mutua assistenza e cointeresse illecito». Recchia inoltre riferì che “il professore” conosceva anche «Giuseppe Impieri e il fratello e Alfredo Elia. Quest’ultimo – precisò Recchia – spietato killer che speso veniva utilizzato proprio per quei rapporti di scambio di favori tra cosche, per uccidere nel Lametino e anche nel Reggino». Tra i due, nei diversi periodi in cui si trovavano ristretti, come riferì il collaboratore di giustizia nel carcere di Potenza e di Catanzar, «si crearono certi rapporti di amicizia». E Recchia «con Franco Giampà si incontrò diverse volte prima dell’effettuazione dei colloqui con i rispettivi familiari che svolgevamo nella stessa sala». E nel raccontare tali aspetti Recchia riferì che nel 1993 «durante l’attesa per lo svolgimento di uno dei colloqui con i rispettivi familiari, il discorso cadde sul processo che era in corso di svolgimento a Catanzaro per l’omicidio Aversa» e Giampà avrebbe confidato al Recchia che «Rizzardi e Molinaro, erano in realtà innocenti, in quanto il “lavoro” era stato fatto da due “amici” di Reggio».