-di Claudia Strangis
Lamezia Terme – Udienza piuttosto concitata, quella di oggi del processo Perseo che si sta celebrando davanti al Tribunale di Lamezia, in composizione collegiale. Due distinte fasi che hanno richiamato l’attenzione del collegio, sulla base degli interventi sia di alcuni difensori che del pubblico ministero Elio Romano. La prima fase, infatti, è stata caratterizzata dal controesame del collaboratore di giustizia Francesco Michienzi. La fase successiva dall’audizione dell’altro killer della cosca Giampà, Luca Piraina, che, spigando la sua decisione di intraprendere la collaborazione con la giustizia, si è definito “un ragazzo diverso che ha fatto degli errori” ha ricordato che “quella era una realtà che non gli apparteneva”. Una “confessione”, che ha suscitato la reazione di uno degli avvocati, Francesco Pagliuso, che lo ha redarguito affermando che “non abbiamo certo bisogno di farci fare la morale da dei pluriomicidi”. Un concetto quello espresso da Pagliuso che ha trovato conforto nel collegio difensivo. Una parentesi processuale che è durata qualche minuto alla fine dell’audizione del “Killer” che in apertura della sua deposizione rispondendo alle domande del pubblico ministero, Elio Romano, ha ripercorso la sua storia criminale raccontando di aver compiuto un vero e proprio “cursus honorem” all’interno della cosca, nonostante la sua giovane età. Il suo ingresso nella cosca Giampà avvenne nel 2009 con atti intimidatori, spaccio stupefacenti, danneggiamenti ed estorsioni per arrivare poi agli omicidi e alla “consacrazione” da ‘ndranghetista con il battesimo con la dote di camorrista. Materialmente, oggi in aula, Piraina si è autoaccusato di essere l’esecutore materiale dell’omicidio di Nicola Gualtieri, mentre fece da specchietto per quello di Vincenzo Torcasio. Partecipò, inoltre, al tentato omicidio di Umberto Egidio Muraca, fu assoldato per quello di Francesco Torcasio al quale, però, poi non partecipò e per quelli, mai avvenuti, di Ottorino Rainieri e Claudio Scardamaglia, “tutti commissionati – ha spiegato – da Giuseppe Giampà per mantenere il controllo sulla cosca” aggiungendo poi, in un secondo momento, che “Giuseppe Giampà voleva eliminare tutti per essere tranquillo”. Gli omicidi, però, furono l’ultimo step. Prima, infatti, la “gavetta” con lo spaccio di sostanze stupefacenti, in particolare marijuana, hashish e cocaina che “prendeva da Alessandro Torcasio che a sua volta si riforniva da Giuseppe Giampà, mentre l’erba – ha continuato – la prendevamo da un certo Mimmo di Maierato”. Un giro che fruttava molti soldi e che vedeva girare grossi quantitativi su tutta la città, in particolare nella zona di Nicastro: “prendevamo grossi quantitativi, anche 20 kg e puntavamo ad avere i prezzi bassi, così mantenevano la piazza e il monopolio”. Spaccio che cominciò ad interessare anche al boss Giuseppe Giampà, che costrinse tutti gli altri gruppi di spacciatori che operavano nella sua zona “a mettersi a posto”. “Avevamo tutta Nicastro – ha spiegato Piraina – lavoravamo all’ingrosso”. Stessa cosa per le estorsioni: Piraina ha raccontato di essere stato protagonista insieme a Pasquale Catroppa, di diversi episodi estorsivi,
tutte commissionati da Domenico Giampà che era, però, detenuto in carcere. Il pentito ha ricordato poi anche un caso in cui Vincenzo Bonaddio minacciò di “squagliarli nell’acido” se avessero continuato a fare estorsioni.
La dichiarazione di Piraina sul capitolo corposo delle truffe assicurative non si discosta molto da quanto dichiarato precedentemente dagli altri collaboratori di giustizia. Il pentito ha raccontato dei rapporti con i legali, in particolare con l’avvocato Giuseppe Lucchino che era il suo legale di riferimento mentre ha citato l’avvocato Chicco Scaramuzzino, pur specificando di non aver intrattenuto con lui rapporti lavorativi in questo senso. Per Piraina, comunque, per quanto riguarda le truffe assicurative “la cosca era organizzata su tutto”. E sulla cosca in generale e i suoi affiliati, il pentito, oggi ha avuto modo di parlare in maniera specifica, soprattutto per quanto riguarda la posizione di Antonio Voci e Davide Giampà che ha detto di essere stato battezzato in carcere.
Tutte posizioni che verranno chiarite, probabilmente, durante il controesame che si terrà la prossima settimana. Controesame a cui, invece, oggi è stato sottoposto Francesco Michienzi, interrogato dai legali di Fausto Gullo, gli avvocati Ortensio Mendicino e Pino Zofrea. Michienzi, infatti, da ex affiliato della cosca Anello –Fruci nella quale militava fin da giovanissimo, nella scorsa udienza si era concentrato sulla posizione di Gullo, che aveva definito “u bombaloru” e che aveva indicato come colui il quale riforniva il suo clan di ordigni, cartucce e armi. Accuse che i due difensori hanno contestato, incalzando il collaboratore e spiegando che, nei suoi appunti di inizio collaborazione, non avrebbe mai fatto accenno a Gullo e alla sua attività. Michienzi, infatti, avrebbe tenuto una sorta di memoriale nel quale avrebbe annotato il suo “excursus sulla sua vita criminale con furti, danneggiamenti, estorsioni” e 47 punti specifici di azioni delittuose ma non una parola su Fausto Gullo, neanche quando gli venne chiesto espressamente chi avesse confezionato gli ordigni. Una tesi difensiva contestata sia dallo stesso collaboratore che dal pubblico ministero che, ha confermato come Michienzi ne abbia ampiamente discusso nei verbali di dichiarazione.