Processo Medusa: giudizio d’appello, depositate le motivazioni

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Lamezia Terme – Dopo sei mesi dall’emissione della sentenza della Corte di Appello di Catanzaro relativa al cosiddetto processo “Medusa”, sono state depositate le motivazioni con le quali i giudici della prima sezione penale si sono pronunciati sulla sentenza emessa il 17 maggio 2013 dal Giudice dell’udienza preliminare di Catanzaro che aveva condannato Francesco Giampà e altri 35 imputati (tutti sottoposti a misura cautelare al momento della celebrazione del giudizio) per il delitto di associazione a delinquere di stampo mafioso e per gli altri reati riportati in epigrafe. Dai giudici di Appello i sei imputati furono assolti, mentre nei confronti di altri 17 fu rideterminata la pena.
Il processo in sintesi come riportato nelle motivazioni

“Il giudizio abbreviato costituisce il primo epilogo processuale di una vasta attività di indagine riguardante l’esistenza e l’operatività di un “locale” di ‘ndrangheta denominato cosca Giampà, facente capo alla omonima famiglia, operante sul territorio di Lamezia Terme e dintorni dal 2004 all’attualità.
L’indagine, nel suo svolgersi, si è caratterizzata per la molteplicità dei contributi dichiarativi forniti da collaboratori di giustizia, i quali, maturando il proposito di collaborare anche in costanza di giudizio, hanno consentito di ricostruire compiutamente l’esistenza attuale, gli assetti e l’operatività dell’indicato sodalizio criminoso.
A tali fonti si sono affiancati i non meno utili esiti delle operazioni d’intercettazione (in particolare quelle ambientali attivate presso l’Associazione Antiracket di Lamezia Terme­A.L.A., quelle presso la sala d’aspetto della Caserma CC di Lamezia Terme, quelle presso la Casa Circondariale di Catanzaro in sede di colloqui tra alcuni degli imputati e i visitatori), e le indagini patrimoniali della Guardia di Finanza, nonché, in parte, le dichiarazioni delle persone informate sui fatti (in maggioranza le persone offese dei reati fine) .
Avverso la sentenza hanno proposto appello gli imputati per i motivi di seguito esaminati.
Nella trattazione che segue, si attingerà ampiamente alla narrativa e alle valutazioni della sentenza di primo grado, che ove necessario verranno riportate anche per esteso.
La disamina sarà articolata per singole posizioni processuali, con rimandi interni in caso di temi comuni.
E’ opportuno evidenziare che nessuno degli appelli investe l’esistenza della cosca, ragione per cui, sul punto, è possibile fare integrale rimando alla vasta ricostruzione contenuta nella prima parte della sentenza impugnata.
Solo a fini di inquadramento generale, si riporta l’esposizione di sintesi contenuta nel prologo (pagg. 62 e ss):
«Al fine di contestualizzare i fatti di cui al presente procedimento non appare inutile procedere ad una sintetica “presentazione” della cosca Giampà.

Per come illustrato nella C.N.R. Cerbero al capitolo 8, il territorio di Lamezia Terme risulta da anni preda di diverse consOlierie mafiose. Le diverse indagini condotte negli anni dagli inquirenti e le sentenze dell’autorità giudiziaria, permettono di affermare che il territorio risulta tradizionalmente spartito tra tre diverse cosche aventi ognuna il relativo ambito di operatività:
-la cosca CERRA -TORCASIO -GUALTIERI nell’area del centro storico di Nicastro ed in località Capizzaglie; le vicende a cui si farà breve accenno nel prosieguo vedono da anni tale cosca in aperto conflitto con il clan Giampà;
-la cosca IANNAZZO, capeggiata da Iannazzo Vincenzino detto” il moretto”, nella zona di Lamezia Terme Sambiase e Sant’Eufemia;
-la cosca GIAMPA’, tradizionalmente attiva in via del Progresso e Via Marconi, che negli anni ha progressivamente espanso la propria zona di influenza verso la montagna, inglobando in se la ‘ndrina degli Arcieri-Cappello ed in costante tentativo di espansione (si vedrà l’accordo riferito dal Giampà Giuseppe con il
Muraca per ottenere il dominio anche nella zona di Capizzaglie
tradizionalmente appartenuta alla cosca Torcasio).

La storia giudiziaria mette a capo dell’associazione mafiosa di cui ci si occupa GIAMPÀ Francesco detto il Professore, imputato nell’ambito del presente processo. La evoluzione negli anni della cosca GIAMPÀ, per come ricostruita anche grazie agli apporti dichiarativi di alcuni collaboratori, è legata all’ascesa del suo capo, indicato dal collaboratore Mazza come colui che aveva vinto negli anni ’90 la guerra contro la cosca facente capo a Giampà Pasquale detto “Tranganiello” e che gli era valsa l’ottenimento del grado di santistalcriminale. Il Giampà Francesco, inoltre, una volta ricevuto il grado di criminale, aveva ottenuto al contempo l’ingresso del suo locale alle riunioni di ‘ndrangheta, che una volta all’anno si tenevano presso il Santuario di Madonna dei Polsi a S. Luca (l’utilizzazione di questo luogo per le riunioni dei vertici della ‘ndrangheta può dirsi dato acquisito da ultimo sulla base delle risultanze investigative effettuate nelle operazioni Crimine ed Infinito realizzate in coordinamento tra la DDA di Milano e la DDA di Reggio Calabria: cfr. collaboratore Recchia Antonio).
Le forti ambizioni del Giampà Francesco, seriamente intenzionato ad eliminare tutti coloro i quali ostacolano i suoi programmi, emergono dalla sua biografia giudiziaria che lo vede condannato all’ergastolo in via definitiva sia per il duplice omicidio dei coniugi A versa-Precenzano avvenuto nel gennaio del 1992 a titolo di mandante (cfr. sentenza di condanna emessa dalla Corte D’Assise di Appello di Catanzaro numero 1/99 Reg. Sent. e numero 21/99 Reg. Gen. datata 23.02.1999, irrevocabile) sia per l’omicidio di Andricciola Salvatore avvenuto in Forlimpopoli nel 92( cfr. sentenza della COlte di Assise di Appello di Bologna irrevocabile) fatti entrambi riconosciuti aggravati dall’art. 7 L. 203/91 sotto il profilo dell’ agevolazione della cosca.

Sotto la guida del “Professore”, la cosca Giampà tradizionalmente unita alle cosche Cerra-Torcasio-Gualtieri si separa in maniera cruenta dal contesto di appartenenza. Nell’ambito della C.N.R. Cerbero al capitolo 8 gli inquirenti ricostruiscono compiutamente le motivazioni di tali scissione facendo riferimento anche alle dichiarazioni del collaboratore Speciale Stefano. Di tali vicende, comunque estranee al presente procedimento, rileva esclusivamente il fatto che a partire dal 29/9/00 data in cui si verifica a Lamezia Terme l’uccisione di Torcasio Giovanni (capo della omonima famiglia e sino a poco prima ristretto in carcere), sul territorio cominciano a consumarsi una serie di omicidi aventi come vittime gli appartenenti alle famiglie Giampà da un canto e Gualtieri-Torcasio dall’altro. Tali elementi, indipendentemente da alcun accertamento di natura giudiziaria, forniscono la misura della sanguinosa contrappOsIziOne tra le due fazioni già dall’anno 2000, e costituiscono un chiaro indice di una guerra tra clan che, come si vedrà dalle propalazioni degli ultimi collaboratori di giustizia, continua sino ai giorni nostri.

Quanto ai precedenti giudiziari, l’esistenza della cosca “Giampà”, operante sui territori di Lamezia Terme e dintorni, con modalità tipicamente mafiosa, risulta fatto già accertato processualmente sebbene temporalmente soltanto sino agli anni ’90. Tali precedenti giurisprudenziali rappresentano un punto di partenza significativo nella parte in cui consentono di ritenere che quanto meno nei relativi periodi di riferimento, nei territori indicati, sia già esistita ed abbia già operato una compagnie mafiosa facente capo alla omonima famiglia Giampà, impegnata nel controllo, frutto di intimidazione, del territorio e delle attività economiche. Lo spaccato ricostruito dalle pronunce di seguito indicate, rappresenta già da allora un clima di diffusa omertà nella società lametina, portata a sopportare per paura le imposizioni e le vessazioni della compagine mafiosa e dei suoi appartenenti che si erano imposti per la loro fama rendendosi autori di gravi fatti non soltanto contro il patrimonio quanto anche di sangue.

Con la sentenza in data 31/1/1997 la Corte di Appello di Catanzaro, riformando peraltro sul punto la sentenza del Giudice di primo grado (che aveva assolto gli imputati quanto al reato associativo condannandoli invece per gli altri capi relativi per di più ad estorsioni) ha condannato Giampà Francesco, Giampà Francesco cl. 52, Giampà Pasquale cl58 e Giampà Pasquale cl. 64, per il reato di cui all ‘art. 416 bis c.p. per avere il primo “costituito e capeggiato” e gli altri partecipato ad una associazione di tipo mafioso, accertata per il periodo 93-94.
Con una successiva sentenza n. 7/00 la Corte di Assise di Catanzaro (successivamente riformata in parte dalla Corte di Assise di Appello con sentenza n. 3/03) nell’ambito del processo detto Primi Passi, nuovamente riconosceva ed affermava l’esistenza di una consorteria mafiosa operante nel territorio di Lamezia Terme sino al marzo del 97. Anche in quel processo veniva acclarato il ruolo di Giampà Francesco cl 48 come “operante al livello di vertice e di direttivo” della cosca, all’epoca facente capo alle famiglie Giampà-Torcasio, e ne veniva affermata la responsabilità quanto ad una serie di episodi estorsivi. Proprio in quella sede la Corte di prime cure valorizzava la continuità dei fatti oggetto di giudizio con quelli già giudicati dalla Corte di Appello di Catanzaro sopra indicata, rilevandone la valenza ai sensi dell’art. 192 comma III c.p.p.. La compiuta ricostruzione dei fatti di tale precedente giudiziario portava a ricostruire “.. i passaggi fondamentali dell’emergere della cosca dei Giampà-Torcasio, sotto la guida di Francesco Giampà cl. 48 e Giovanni Torcasio cl. 64 sino all’affermazione della sua supremazia nell’attività estorsiva in danno degli operatori economici di via del Progresso”. Le fattispecie di reato peraltro giudicate sempre in quella sede consentivano di ricondurre alla operatività del gruppo non soltanto una serie di episodi estorsivi quanto anche fatti di sangue ” .. . quali gli omicidi in danno di Cortese Bruno ed Andricciola Francesco, entrambi con causale riconducibile alla reazione della cosca ad “ingerenze” di altri nel sellore delle estorsioni”.
Sin da quell’epoca l’organo giudicante evidenziava l’importante valenza probatoria delle convergenti dichiarazioni di collaboratori di giustizia, rilevando altresì lo scarso apporto fornito dalle vittime, segno del clima di intimidazione ed omertà che aveva già caratterizzato quelle indagini.
Ebbene, tali dati di chiara valenza processuale ai sensi dell ‘art. 238 bis c.p., segnano l’esistenza a quell’ epoca di una cosca mafiosa, facente capo al Giampà Francesco, operante in Lamezia Terme (in particolar modo in via del Progresso) e dedita al controllo del tenitorio lametino a mezzo estorsioni e, alla necessità, anche fatti di sangue. Del pari, le pronunce forniscono lo spaccato di un territorio impaurito, avvezzo, abituato al controllo della malavita organizzata, poco propenso a reagire ed a collaborare con le Forze dell’Ordine.
Le risultanze delle indagini nell’ambito del presente giudizio si pongono in assoluta continuità come si vedrà con il passato. A parte i mutati assetti, fisiologici in un arco temporale di quasi quattordici anni (in cui si verifica la spaccatura con la famiglia Torcasio, sopraggiunge lo stato di carcerazione del capo Giampà Francesco, si consolidano con una efficace strategia i rapporti e le compenetrazioni con le famiglie Notarianni e Cappello), identica appare l’egemonia della cosca, la sua zona di influenza (ferme le ambizioni di espansione territoriale del gruppo), il suo potere sulle attività economiche (con estorsioni protratte si in silenzio per anni) le intimidazioni ormai totalmente metabolizzate dalle vittime (tanto da non rendere quasi necessari attentati ed avvertimenti, risultando solo necessario spendere il nome della famiglia Giampà o del suo reggente Giuseppe), il ricorso a fatti di sangue come reazione alla invasione del territorio (si pensi al tentato omicidio del Muraca Umberto Egidio, non oggetto di contestazione ma pure emerso come fatto nell’ambito del processo).
L ‘esistenza della associazione: il periodo in contestazione
La presenza della malavita organizzata sul territorio nel periodo oggetto di contestazione può essere in primis affermata sulla base dei numerosissimi fatti di sangue consumati negli anni. Riprendendo le fila da quanto esposto al paragrafo precedente, la tabella a seguireI riportata da la misura delle perdite subite in circa un decennio dalla famiglia Giampà e di quelle subite dalla cosca avversa dei Torcasio.
Ribadendo, quanto già affermato, indipendentemente da alcun accertamento di ordine giudiziario, il solo fatto che nel territorio di Lamezia Terme si siano succeduti un così elevato numero di omicidi, assume una chiara valenza indizi aria di un tenitorio che subisce da anni una c.d. “guerra di mafia”.
[…}
Senza voler anticipare qui il contenuto delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, giova comunque da subito rilevare come la guerra di mafia in atto contro i
I Cfr. tabella a pago 65 della sentenza di primo grado.
Torcasio risulta fatto ammesso dal collaboratore Giampà Giuseppe, che nelle sue dichiarazioni in data 6/9/12 ha parlato della cosca Torcasio come da sempre a loro avversa e che negli anni aveva subito pesanti perdite proprio per mano di appal1enenti alla sua cosca.
In questo scenario che già chiaramente consente di affermare come la popolazione lametina subisse l’ombra della malavita organizzata e delle sue lotte sanguinarie, le attività captative versate in atti forniscono uno spaccato del tutto chiaro delle condizioni in cui operavano commercianti ed imprenditori.
Le intercettazioni
In un periodo peraltro in cui nessuno si aspettava le collaborazioni di appartenenti alla cosca, o di soggetti a loro comunque vicini, gli inquirenti a mezzo delle intercettazioni, sono riusciti ad apprendere e ricostruire una serie di episodi di chiara natura estorsiva raccontati dalla viva voce dei soggetti vittime del clan Giampà. Le conversazioni di seguito riportate forniscono uno spaccato delle condizioni in cui commercianti ed imprenditori si trovavano ad operare, della presenza immanente dell’ associazione mafiosa e dei suoi appartenenti, dei suoi meccanismi di coartazione, delle sue pretese e non ultima della diffidenza a collaborare con le forze dell’ordine di numerose vittime. Tale materiale assume una chiara valenza probatoria non soltanto in punto di esistenza della associazione, quanto anche fornisce la certezza della forza di intimidazione della consorteria e della omertà conseguente, registrata da parte della popolazione … »
Rimandando per la disamina completa al contenuto della sentenza impugnata, SI procederà di seguito all’esame delle singole impugnazioni”.(-prima parte – segue)