Lamezia: Pasqualina Bonaddio la terza donna della famiglia a tornare libera

bonaddio-copiaLamezia Terme – Pasqualina Bonaddio, 60 anni, è la terza donna della famiglia “Giampà”, a tornare libera, dopo la sentenza di secondo grado. La prima ad abbandonare il carcere è stata la figlia Vanessa, la seconda Rosa.
La Bonaddio è stata rimessa in libertà dalla Corte di Appello di Catanzaro, la stessa corte che l’aveva condannata a 4 anni e 4 mesi di reclusione, che accogliendo le istanza dei suoi legali di fiducia, due noti penalisti lametini gli avvocati Francesco Pagliuso e Francesco Gambardella, ha emesso un provvedimento con il quale ha revocato la detenzione in carcere. Dopo circa tre anni dal suo arresto nell’ambito dell’operazione Medusa, la Bonaddio torna libera grazie anche all’impegno dei suoi legali di fiducia che gambardella-pagliusohanno redatto una dettagliata e professionale istanza che è stata attentamente vagliata dai giudici della corte di Appello e sulla base della quale hanno deciso revocare la detenzione in carcere consentendogli così di ritornare a casa libera.
Pasqualina Bonaddio, definita dal collaboratore di giustizia Angelo Torcasio, in un verbale del 5 agosto del 2011, come “la mamma della cosca”, veniva indicata, nell’ordinanza di applicazione di misure cautelari personali emessa dal giudice delle indagini preliminari Assunta Maiore, insieme alla figlia Vanessa e Rosa, oltre a Giuseppina Giampà, 41 anni, nipote del professore, coniugata con Aldo Notarianni, 65 anni, anche lui coinvolto nell’operazione Medusa, e Francesca Teresa Meliadò(moglie di Giuseppe Giampà), come “le donne del clan, tutte partecipi dell’associazione con ruolo attivo e decisionale, beneficiarie di profitti ingiusti derivanti dal metodo estorsivo tipico della cosca (godimento di prestazioni lavorative non pagate e cessioni di merci al 50% fisso presso commercianti vari di Lamezia Terme, in ragione del solo ‘nome’ vantato e proclamato), nonché con il compito fondamentale di mantenere vivi e “operativi” i rapporti tra i mariti detenuti facenti parte del locale in esame e gli affiliati rimasti liberi, ovvero tra i mariti/prossimi congiunti detenuti e i vari imprenditori/commercianti precedentemente soggetti ad estorsione da parte dei medesimi, anche per la raccolta materiale del denaro di provenienza illecita, costituendo di fatto l’anello di congiunzione tra gli associati detenuti e gli altri affiliati liberi contribuendo a mantenerne attivo il collegamento nei periodi di detenzione, rendendosi veicoli di notizie e ‘imbasciate’ da e per l’esterno della casa circondariale, potendo contare su un regime di controlli blandi all’interno della casa circondariale di Catanzaro- Siano, nei confronti dei membri della cosca, accentuata dalla presenza in quella casa circondariale di numerosi dipendenti della polizia penitenziaria di origine lametina”.
A delineare la figura della Bonaddio e il ruolo che rivestiva all’interno della sua famiglia
sarebbero state le risultanze investigative di carattere tecnico redatte dagli investigatori e le dichiarazioni rese dai vari collaboratori di giustizia, acquisite nell’ambito del cosiddetto procedimento “Medusa”. E per gli investigatori che hanno redatto una apposita scheda personale ed inserita nel contesto processuale la Bonaddio, moglie del “Professore”, risultava “pienamente inserita nell’associazione di tipo mafioso che si persegue e ne costituisce membro attivo con ruolo ben determinato”.
Per gli inquirenti in particolare, Pasqualina Bonaddio, moglie del capo indiscusso Francesco Giampà ‘U Prufessuri’, anche con ruolo di destinataria, insieme alle figlie di imbasciate da parte del marito detenuto da esternare agli altri componenti della cosca per la gestione delle attività della stessa, nonché di gestione di estorsioni”. Ruolo che avrebbe svolto anche quando il figlio Giuseppe era detenuto e prima che si pentisse con l’obiettivo, sempre secondo gli inquirenti di mantenere i rapporti con “gli affiliati rimasti liberi, ovvero sempre tra questi e i vari
imprenditori/commercianti precedentemente soggetti ad estorsione da parte dei
medesimi”. Ruolo che emergerebbe dalle attività d’intercettazione in carcere e che confermerebbero che Pasqualina Bonaddio si occupava anche “della materiale raccolta del denaro di provenienza illecita oltre che a rendersi fondamentale veicolo di notizie
d’interesse per l’associazione da e per l’esterno della casa circondariale”.