Lamezia: D’Agosto e Lucchino assolti anche in Apello

Dagosto-Lucchimo_1024Lamezia Terme – Anche in appello l’avvocato Tiziana D’Agosto è stata assolta, insieme al suo collega Giuseppe Lucchino. I giudici di appello hanno in pratica confermato la sentenza emessa in primo grado dal giudice dell’udienza preliminare del tribunale di Catanzaro, Giuseppe Perri. A quattro anni di distanza dal loro coinvolgimento nell’inchiesta “Perseo” della Dda di Catanzaro, quella emessa oggi dalla sezione seconda della Corte di Assise di Appello di Catanzaro torna a fare piena luce sul coinvolgimento di questi due avvocati nell’inchiesta della Dda. La D’Agosto, è stata difesa dagli avvocati , Francesco Gambardella e Luigi Maurizio D’Agosto. Anche l’avvocato Lucchino è stato difeso dall’Avvocato Gambardella insieme a Tomaino.
Ecco la loro storia:
La D’Agosto, che è stata difesa dagli avvocati, Francesco Gambardella e Luigi Maurizio D’Agosto, fini nell’inchiesta “Perseo” con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Imputazione che oggi è venuta meno perché per i giduci di appello così come fece il  giudice dell’udienza preliminare di Catanzaro la penalista lametina, che trascorse alcuni mesi nel carcere di Lecce, ottenendo poi gli arresti domiciliari, il fatto non sussiste, in quanto l’imputazione formulata dal pubblico ministero, non avrebbe trovato riscontro nella fase processuale, (cioè non è stato provato); il fatto storico che è stato ricostruito dalla pubblica accusa non rientra nella fattispecie di reato dal punto di vista degli elementi oggettivi.
Secondo l’accusa, invece, la D’Agosto avrebbe svolto un ruolo sia di “paciere” in dispute interne alla cosca che di “informatore”. La penalista lametina fu accusata sulla base delle dichiarazioni di collaboratori di giustizia come Angelo Torcasio o Umberto Egidio Muraca ma, soprattutto, da quanto dichiarato dal boss Giuseppe Giampà, “testa di serie” tra i collaboratori di giustizia. Per la Dda “numerosi e diversi” sarebbero stati  “gli specifici episodi ricostruiti in merito alla condotta dell’indagata, episodi alcuni dei quali riferiti in modo convergente da Torcasio e Giampà (c.d. vicenda Spes), altri invece oggetto del racconto dei singoli propalanti che, di persona, hanno vissuto le varie vicende narrate”. Dichiarazioni che per l’accusa rappresentavano “l’oggetto della imputazione” a carico delle penalista lametina che, secondo le dichiarazioni di Giuseppe Giampà e Angelo Torcasio, si sarebbe “prestata a portare all’esterno direttive di sodali detenuti o a veicolare a questi ultimi notizie provenienti da soggetti vittime dei reati contestati agli stessi indagati”), assicurando così la sua “ disponibilità alla cosca egli atti giudiziaria che gli esponenti di vertice hanno interesse, per i loro illeciti scopi, a conoscere”.
Le accuse che la Dda aveva mosso nei confronti di Giuseppe Lucchino “perché assumeva il ruolo di concorrente “esterno” della struttura organizzativa dell’associazione criminale di stampo mafioso denominata cosca Giampà di Nicastro-Lamezia Terme, in quanto, pur non potendosi ritenere inserito stabilmente nella struttura organizzativa del sodalizio, forniva tuttavia un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo, di natura materiale e/o morale, avente una effettiva rilevanza causale nella conservazione o nel rafforzamento delle capacità operative dell’associazione, contributo rilevante e agevolativo per la concreta realizzazione del fatto criminoso collettivo, comunque diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso della medesima o per l’attuazione di un particolare settore o ramo di attività dell’associazione stessa, assumendo un molo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale dall’esterno dava un contributo rilevante alla vita del gruppo criminale, rimanendo a disposizione della cosca Giampà per il perseguimento dei suoi fini criminosi e per il rafforzamento dello stesso mediante il coadiuvamento nella realizzazione del suo programma criminale associativo;
in particolare Lucchino Giuseppe, avrebbe svolto  in qualità di concorrente esterno dell’organizzazione di stampo mafioso denominata cosca Giampà, il compito di seguire consapevolmente il disbrigo delle pratiche assicurative relative ai sinistri simulati posti in essere dai vari componenti della cosca Giampà, coadiuvava in qualità di referente legale (insieme al collega Scaramuzzino Giovanni) i membri della cosca Giampà nella realizzazione delle truffe assicurative, consentendo alla cosca Giampà la realizzazione di profitti ingiusti da reimpiegare nel finanziamento delle altre attività illecite della cosca stessa (acquisto di armi e droga soprattutto, mezzi di locomozione per omicidi, retribuzione degli affiliati, etc..), dividendone anche i profitti, partecipando in prima persona a taluna delle truffe assicurative insieme a Giampà Giuseppe, favorendo altresì la negoziazione degli assegni non trasferibili provento di truffa, fornendo un apporto rilevante per la realizzazione di plurime truffe assicurative, consentendo alla cosca Giampà la realizzazione di profitti ingiusti da reimpiegare nel finanziamento delle altre attività illecite della cosca stessa (acquisto di armi e droga soprattutto, mezzi di locomozione per omicidi, retribuzione degli affiliati, etc…). In Lamezia Terme dal 2008 con condotta perdurante”.
Ora quei capi di imputazione, soprattutto quello definito mafioso”, sono stati “defenestrati” da una ulteriore sentenza emessa questa volta dai Giudici della Corte D’Apello di Catanzaro confermando di fatto la sentenza emessa dal Giudice dell’Udienza Preliminare del Tribunale di Catanzaro.