Omicidio Caccia: ergastolo a Schirripa

Milano – La Corte d’Assise di Milano ha condannato all’ergastolo Rocco Schirripa, ritenendolo uno degli assassini del magistrato Bruno Caccia. Il giudice fu ucciso da un commando della ‘ndrangheta nel giugno del 1983.
I giudici, presieduti da Ilio Mannucci Pacini, hanno accolto la richiesta di condanna all’ergastolo da parte del pm della Dda milanese Marcello Tatangelo, il cui errore procedurale aveva determinato l’annullamento di un primo processo sempre a carico di Schirripa, che ha ascoltato la sentenza in piedi nella gabbia riservata agli imputati, non mostrando segni di particolare emozione. Per il pubblico ministero non e’ certo se sia stato Schirripa a premere il grilletto contro il magistrato, ma e’ sicura la presenza del panettiere calabrese nel ‘commando’ della ‘ndrangheta. Secondo Tatangelo, l’allora procuratore di Torino fu assassinato per “il suo estremo rigore” e per l’interesse verso le “attivita’ finanziarie” del clan calabrese che impedivano all’organizzazione di fare affari. Per l’omicidio, nel 1993 e’ gia’ stato condannato al carcere a vita Domenico Belfiore, boss della ndrangheta torinese ritenuto mandante dell’assassinio. Nel 2015, dopo l’esposto presentato dalla famiglia del magistrato rappresentata dall’avvocato Fabio Repici, la procura di Milano avvia un’inchiesta affidata alla squadra mobile di Torino. Nell’estate di quell’anno Belfiore viene scarcerato per gravi motivi di salute. Torna nella sua casa, nell’hinterland di Torino, e riprende alcuni contatti, tra cui quello con il cognato Placido Barresi, gia’ accusato e assolto in un altro processo per l’omicidio di Caccia. Mentre sono in corso le intercettazioni, effettuate anche grazie ad alcuni trojan su smartphone e tablet, gli agenti della polizia cominciano a inviare lettere anonime con un vecchio articolo de La Stampa e i nomi dei principali sospettati. Tra questi Belfiore, Barresi e Rocco Schirripa, detto “Barca”. I primi due sembrano allarmarsi e ne discutono. Decisiva per gli investigatori una frase intercettata nel corso di una telefonata: “Ti sei fatto trent’anni tranquillo, fattene altri trenta tranquillo” dice Barresi a Schirripa.(

Oltre a condannare Rocco Schirripa all’ergastolo, la Corte d’Assise di Milano ha disposto uan provvisionale da 300mila euro per i tre figli del magistrato ucciso e di 50mila euro per altri parenti che si erano costituiti parti civili. I risarcimenti complessivi verranno liquidati in un separato giudizio civile. Inoltre, ha stabilito la pubblicazione della sentenza a spese dell’imputato sul sito del Ministero della Giustizia e la sua affissione nei Comuni di Milano, Torino e Torrazza Piemonte, dove il panettiere risiede da anni.

La Corte ha disposto a carico di Schirripa anche risarcimenti in favore delle parti civili Regione Piemonte, Comune di Torino, Presidenza del Consiglio e Ministero della Giustizia, sempre da liquidarsi in separata sede. Inoltre, i giudici hanno trasmesso l’intero fascicolo processuale alla Procura per le sue “eventuali determinazioni”. In Procura a Milano, competente per i reati su magistrati torinesi, c’e’ anche aperta un’inchiesta a carico di Francesco D’Onofrio, ex militante di PrimaLinea, ritenuto vicino alla ‘ndrangheta e indagato a piede libero come possibile altro esecutore materiale dell’omicidio, in base alle dichiarazioni di un pentito.

Omicidio Caccia: figlie, giustizia non ancora fatta
“C’e’ ancora molto da fare, speriamo che non finisca qui. Ci sono ancora tante cose da indagare e da aggiungere”. E’ questo il primo commento di Paola e Cristina Caccia, figlie del magistrato assassinato nel 1983, dopo la sentenza che ha condannato Rocco Schirripa all’ergastolo.
“Siamo d’accordo con la sentenza – hanno aggiunto le figlie di Caccia – dalle intercettazioni emergeva che Schirripa ha avuto un ruolo, anche se non si e’ capito quale”. Cristina e Paola Caccia hanno ricordato di essere state loro a dare l’imput alle indagini che hanno riaperto il ‘cold case’ presentando un esposto attraverso il loro avvocato Fabio Repici. “Avevamo indicato indizi e responsabilita’ compatibili con quanto emerso in questo processo – spiegano le sorelle Caccia – ma ci e’ stato detto, e questo abbiamo faticato ad accettarlo, che il processo doveva restare nel perimetro delle responsabilita’ di Schirripa. Non possiamo dire che giustizia e’ stata fatta, sul movente c’e’ ancora molto da fare e da capire. Ora speriamo che si possa allargare. Ci fa arrabbiare che sia passato tutto questo tempo, 34 anni, e che siano sempre i familiari a dover pungolare la giustizia per chiedere chiarezza”.