Lamezia: Vanessa Giampà la prima donna della famiglia a tornare libera

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Lamezia Terme – Vanessa Giampà, è la prima donna della famiglia “Giampà”, a tornare libera, dopo la sentenza di secondo grado. Veniva indicata, nell’ordinanza di applicazione di misure cautelari personali emessa dal giudice delle indagini preliminari Assunta Maiore, insieme alla madre Pasqualina Bonaddio, 60 anni, definita dal collaboratore di giustizia Angelo Torcasio, in un verbale del 5 agosto del 2011, come “la mamma della cosca”, e alla sorella, oltre a Giuseppina Giampà, 41 anni, nipote del professore, coniugata con Aldo Notarianni, 65 anni, anche lui coinvolto nell’operazione Medusa, e Francesca Teresa Meliadò(moglie di Giuseppe Giampà),come “le donne del clan, tutte partecipi dell’associazione con ruolo attivo e decisionale, beneficiarie di profitti ingiusti derivanti dal metodo estorsivo tipico della cosca (godimento di prestazioni lavorative non pagate e cessioni di merci al 50% fisso presso commercianti vari di Lamezia Terme, in ragione del solo ‘nome’ vantato e proclamato), nonché con il compito fondamentale di mantenere vivi e “operativi” i rapporti tra i mariti detenuti facenti parte del locale in esame e gli affiliati rimasti liberi, ovvero tra i mariti/prossimi congiunti detenuti e i vari imprenditori/commercianti precedentemente soggetti ad estorsione da parte dei medesimi, anche per la raccolta materiale del denaro di provenienza illecita, costituendo di fatto l’anello di congiunzione tra gli associati detenuti e gli altri affiliati liberi contribuendo a mantenerne attivo il collegamento nei periodi di detenzione, rendendosi veicoli di notizie e ‘imbasciate’ da e per l’esterno della casa circondariale, potendo contare su un regime di controlli blandi all’interno della casa circondariale di Catanzaro- Siano, nei confronti dei membri della cosca, accentuata dalla presenza in quella casa circondariale di numerosi dipendenti della polizia penitenziaria di origine lametina”. Per gli inquirenti in particolare, Pasqualina Bonaddio, moglie del capo indiscusso Francesco Giampà ‘U Prufessuri’, anche con ruolo di destinataria, insieme alla figlia Vanessa di imbasciate da parte del marito detenuto da esternare agli altri componenti della cosca per la gestione delle attività della stessa, nonché di gestione di estorsioni”.
Mentre per il Gip, ma anche per il Giudice dell’udienza preliminare che ha emesso la prima sentenza di condanna, e dai magistrati della Corte di Apello, Giuseppina Giampà, moglie di Notarianni Aldo e nipote de ‘U Prufissuri’, “in qualità di depositaria/custode di assegni e danaro con il compito di occultarli poiché proventi di illecite attività quali usure e/o estorsioni, co-detentrice di materiale esplodente, con il compito altresì di mantenere vivi (anche con l’aiuto dei figli) i rapporti con le vittime di usura ed estorsioni, durante il periodo di detenzione del marito Aldo. Stesso identico ruolo secondo gli inquirenti sarebbe stato svolto da Francesca Teresa Meliadò, “anche con il ruolo di collettrice delle somme di danaro di provenienza estorsiva o comunque illecita, in assenza del marito Giuseppe Giampà detenuto, essa stessa beneficiando di imposizione estorsiva presso ditte e/o negozi commerciali del Lametino in ragione del cognome ostentato e dell’appartenenza alla ‘famiglia’”.