Operazione Andromeda: Tdl dovrà rivedere posizione Caruso

caruso-cassazione1Lamezia Terme – E’ tutta da riscrivere la vicenda giudiziaria che vede protagonista Antonello Caruso, 45 anni, finito nell’inchiesta “Andromeda”, l’operazione che il 14 maggio scorso porto all’arresto di 45 persone? Un interrogativo che dovrà sciogliere il Tribunale della Libertà di Catanzaro, in relazione alla decisione della Prima sezione penale della Corte di Cassazione, che il 17 novembre scorso, accogliendo il ricorso predisposto dagli avvocati Lucio Canzoniere e Salvatore Cerra, ha annullato con rinvio l’ordinanza custodiale nei confronti del Caruso. Quindi i giudici del riesame di Catanzaro dovranno decidere se Caruso arrestato, appunto, nell’operazione “Andromeda” perchè accusato di partecipazione alla associazione mafiosa denominata “Clan Iannazzo” operante nel territorio lametino, dovrà restare in carcere o essere rimesso in libertà, revocando la misura della custodia cautelare emessa dal giudice delle indagini preliminari Domenico Commodoro, su richiesta della procura distrettuale antimafia. A breve, quindi, è atteso il nuovo giudizio dinanzi al Tribunale della Libertà di Catanzaro. E’ stato accolto il ricorso dei difensori sulla non sussistenza di elementi di gravità indiziaria nei confronti del Caruso. Quindi sarebbero venuti meno gli indizi di colpevolezza nei confronti di Caruso che secondo gli investigatori, “privo di alcun pregiudizio penale e di Polizia” sarebbe stato “utilizzato da Vincenzino Iananzzo”, come autista, ma anche per mantenere “i rapporti con gli altri affiliati soprattutto nel periodo in cui Iananzzo si era reso irreperibile”. Per gli investigatori della Dia Caruso veniva considerato “la persona di riferimento di Vincenzino Iannazzo sul territorio calabrese, in quanto unica persona “in grado di sbrigare certe faccende””. Per gli investigatori , poi, Antonello Caruso, “unitamente a Vincenzino Iannazzo (promotore dell’associazione), Nathalíe Angele Zingraff, Alessandro Provenzano, Angelo Provenzano, Antonio Provenzano, Giuseppe Cavaliere e Nadia Jannate, partecipava ad un’associazione per delinquere di tipo mafioso che avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche realizzava profitti e vantaggi ingiusti per se e per altri”.