Lamezia: lezione tutta al femminile corso per difensori d’ufficio

camera-penale19-03-16Lamezia Terme – Una lezione tutta al femminile quella del corso per difensori d’ufficio organizzato dalla Camera Penale lametina, tenutasi oggi nell’Aula Garofalo del Tribunale di Lamezia Terme.
A presentare le relatrici (Dottoressa Emanuela Folino ed Avvocato Anna Moricca) ed introdurre il tema, l’Avvocata Nicolina Perri, presidente della Camera Penale Minorile di Lamezia Terme.
L’avvocato Perri ha presentato la Dottoressa Emanuela Folino, Giudice del Tribunale dei Minorenni di Catanzaro, evidenziandone la spiccata professionalità e preparazione anche grazie all’esperienza maturata dalla stessa, negli anni, quale Giudice Civile e Penale per poi approdare al tribunale dei minorenni del capoluogo; per poi introdurre Anna Moricca, avvocato del foro lametino e Giudice Onorario presso il Tribunale Penale di Vibo Valentia dal 2005, insignita del riconoscimento ministeriale per essere stata, nell’anno 2008, l’avvocato cassazionista più giovane d’Italia.
Il Giudice Folino ha illustrato la natura “anfibia” del processo folino-giudiceminorile evidenziandone le peculiarità e differenze con il processo a carico degli imputati maggiorenni, sottolineando, in particolare, come il principio della minima offensività sia uno dei principi fondanti del processo penale minorile, in quanto è il principio che dà attuazione allo scopo che il legislatore si è prefisso nel disciplinare tale processo, e cioè il recupero del minore che ha commesso un reato.
Lo scopo del recupero del minore, che la Corte Costituzionale ha definito, già negli anni ’70, “interesse-dovere dello Stato”, sulla base degli articoli 31 e 27 della Costituzione, prevale – afferma la Folino – addirittura sull’interesse dello Stato a perseguire gli autori di fatti costituenti reato secondo un criterio retributivo e repressivo.
Tale finalità del processo si realizza attraverso l’educazione del minore, intesa sia come capacità educativa del processo stesso, sia come capacità di non interferire con le esigenze educative del soggetto e di non interrompere i processi educativi in atto. Implicitamente si ammette, quindi, che il processo penale può risultare ‘offensivo’ per il minore e si individua questa sua potenziale ‘offensività’ nell’attitudine a interrompere o turbare l’evoluzione armonica della personalità del ragazzo, ancora in formazione. Occorre, pertanto, ridurre al minimo indispensabile il rischio di compromettere una corretta crescita psicologica del minore, sia limitando i suoi contatti con il sistema penale, sia rendendo meno offensivi i contatti che risultino inevitabili.
Il D.P.R. 448/1988 sicuramente accoglie queste istanze in molte disposizioni. In particolare le disposizioni che prevedono formule di chiusura del processo senza l’irrogazione di una pena (irrilevanza del fatto, messa alla prova, perdono giudiziale e incapacità di intendere e di volere) e quelle relative all’arresto in flagranza e alla carcerazione preventiva sono più propriamente espressione della ‘teoria del minimo intervento penale’.
moricca-avvocato19L’avvovvato Anna Moricca, ha quindi, nella seconda parte della lezione, illustrato le novità introdotte dalla Legge 67/2014nel codice penale ed in quello di rito, illustrando le differenze tra la messa alla prova nel processo minorile e quella invece prevista per il processo a carico di imputati maggiorenni, evidenziandone la natura di istituto di diritto sostanziale, causa di estinzione del reato.
Dalla lettura delle norme di riferimento (artt. 168 bis, 168 ter e 168 quater c.p.; 464 bis-464 novies c.p.p.) emerge – precisa Moricca – da un lato, lo spirito ed il fine di forte deflazione procedimentale che ispira l’introduzione nel codice di diritto sostanziale di questa forma di definizione alternativa del processo; dall’altro, la limitata offensività delle situazioni processuali in cui l’istituto può trovare completa applicazione.
La messa alla prova nel processo a carico di imputati maggiorenni, dunque, si orienta verso l’individuazione di strumenti di decongestionamento del processo penale nella sua fase decisoria di primo grado, in relazione a reati di non elevato allarme sociale. In secondo luogo, verso una riferma del sistema sanzionatorio, al fine di prevenire inutili accessi in carcere di persone condannate per reati di contenuto e modesto allarme sociale, nei confronti delle quali, il debito penale può essere positivamente estinto con misure contenitive di carattere alternativo alla detenzione.
L’Avvocato Moricca ha poi illustrato come la tassatività delle previsioni sussunte nel disposto del comma 1 dell’art. 168 bis c.p., unitamente alla considerazione che la richiesta per la messa alla prova debba essere avanzata – a pena di inammissibilità in una fase del tutto preliminare al giudizio, possa creare dei problemi applicativi di rilievo.
“Quid iuris, se la contestazione di reato mossa verso l’imputato appaia giuridicamente ed erroneamente di maggiore gravità di quella che, invece, avrebbe dovuto, in tutta evidenza, formare oggetto di processo, e, dunque, risulti – a differenza di quella meno grave e indubbiamente pertinente – preclusiva dell’accesso alla messa alla prova?”.
Appare, quindi, del tutto irragionevole ed illogico – conclude Moricca – che la possibilità di accesso ad una misura definitoria del processo risulti legata indissolubilmente ad una discrezionalità tecnico-giuridica non già eventualmente ad appannaggio del giudice terzo (peraltro espressamente riconosciuta con l’art. 464 ter e quater c.p.p. che governano analiticamente i poteri del GIP, del GUP, e del Tribunale), bensì ex parte (cioè dal P.M.).
Emerge, quindi, una situazione idonea ad incrementare il dibattito dottrinale e giurisprudenziale già in atto.
La relatrice ha poi illustrato la fine del processo in contumacia, con la previsione dell’istituto dell’“assenza” per poi concludere con la “sospensione del processo” per assenza dell’imputato, sottolineando i problemi di diritto intertemporali connessi alla materia e derivanti dalla mancata previsione, nella Legge 67/2014 di una disciplina transitoria, con la conseguenza che le nuove norme processuali da essa introdotte, hanno efficacia immediata, in ossequio al principio tempus regit actum di cui all’art. 11 delle preleggi.
Un intervento del legislatore – ha concluso l’avvocato  Moricca – sarebbe stato auspicabile soprattutto per chiarire se le nuove norme siano destinate a trovare applicazione anche nei processi pendenti in cui sia già stato effettuato il controllo della regolare costituzione delle parti e, quindi sia già stata ritualmente dichiarata in conformità alla legge vigente al momento in cui l’attività è stata compiuta, la contumacia dell’imputato.