Lamezia: consiglio andava sciolto per presunte infiltrazioni mafiose?

Lamezia Terme – Il consiglio comunale di Lamezia Terme andava sciolto per presunte infiltrazioni mafiose?
E’ l’interrogativo che si pongono in molti dopo aver letto con attenzione e scrupolosità la relazione del ministro dell’Interno, parte integrante del decreto di scioglimento emesso dal Presidente della Repubblica e pubblicato sula Gazzetta Ufficiale.
Alcuni probabilmente sosterranno la tesi del Ministro e del Prefetto.
Mentre in molti diranno che non c’erano i presupposti in quanto, come scrive il Ministro nel 2010, vi erano gli stessi presupposti che hanno portato allo scioglimento dell’attuale consiglio comunale.
Sono in molti a domandarsi: perché sciogliere il consiglio comunale eletto nel 2015 a guida Mascaro e non quello eletto nel 2010 a guida Speranza, se all’interno del consiglio vi erano le stesse condizioni amministrative che hanno portato ad “eliminare” Mascaro e la sua maggioranza?
Semplice: Speranza non poteva essere sciolto, “nonostante molti degli attuali amministratori hanno fatto parte, a diverso titolo, della compagine eletta nel 2010″, in quanto esponente politico del centrosinistra, area politica alla quale apparteneva e appartiene l’attuale Ministro dell’Interno.

 

Ma c’è un altro dato che emerge dalla relazione ed è quello relativo all’affidamento di alcuni lavori ed altri atti che non sono stati compiuti dalla giunta Mascaro, ma dai dirigenti comunali che, in base alla legge Bassanini, hanno tutto il potere per determinarsi senza il necessario consenso politico.
Quindi chi andava sciolto? Solo il consiglio comunale o l’intero Comune?  Ma c’è di più. Alcuni atti ai quali fa riferimento la relazioni sono in continuità con la precedente amministrazione.

Ecco il testo della relazione del Ministro:

“Il comune di Lamezia Terme, i cui organi elettivi sono stati rinnovati nelle consultazioni amministrative del 31 maggio 2015, presenta forme di ingerenza da parte della criminalità organizzata che compromettono la libera determinazione e l’imparzialità degli organi elettivi, il buon andamento dell’amministrazione ed il funzionamento dei servizi, con grave pregiudizio dell’ordine e della sicurezza pubblica.

Si rileva la perquisizione nei confronti di un consigliere comunale, in quel momento ai domiciliari per altro, misura successivamente revocata, e del vice presidente del consiglio comunale poi dimessosi. Ai predetti amministratori è stato contestato il reato di concorso esterno in associazione mafiosa in quanto avrebbero chiesto e fruito dell’appoggio elettorale della locale cosca mafiosa.

La relazione del prefetto effettua un raffronto tra le risultanze dell’accesso attuale e quelle che diedero luogo agli scioglimenti per infiltrazioni nel 1991 e nel 2002 rinvenendo, in assoluta continuità, la persistenza delle medesime dinamiche collusive e dell’operatività degli stessi personaggi di spicco delle organizzazioni criminali dominanti in quel territorio». «Fonti tecniche di prova hanno attestato come la campagna elettorale per il rinnovo degli organi elettivi sia stata caratterizzata da un’illecita acquisizione dei voti che ha riguardato, direttamente o indirettamente, esponenti della maggioranza e della minoranza consiliare».

E’ inoltre stata rilevata una sostanziale continuità amministrativa, atteso che molti degli attuali amministratori hanno fatto parte, a diverso titolo, della compagine eletta nel 2010. Ulteriore rilevante elemento che evidenzia un contesto ambientale compromesso è rappresentato dalla sussistenza di cointeressenze, frequentazioni, rapporti a vario titolo tra numerosi componenti sia dell’organo esecutivo che di quello consiliare con soggetti appartenenti alla criminalità organizzata».
Al riguardo, il prefetto evidenzia che successivamente alla loro elezione e fino ai primi mesi del 2016 il sindaco ed il vice sindaco, entrambi avvocati, hanno assunto, contemporaneamente, la veste di difensori di fiducia di esponenti di massima rilevanza delle cosche e di loro sodali e quella di organi di vertice dell’Amministrazione comunale». «Solo a marzo e maggio 2016, a seguito della costituzione di parte civile del Comune nei processi, il primo cittadino ed il vice sindaco hanno rinunciato all’incarico di difensori dei menzionati esponenti della criminalità organizzata e il mandato conferito al sindaco è stato assunto da altro professionista in stretti rapporti di affinità con il primo cittadino».
La relazione della commissione d’indagine ha fatto emergere «un diffuso quadro di illegalità, in diversi settori dell’ente che, unitamente ad un generale disordine amministrativo, si sono rilevati funzionali al mantenimento di assetti predeterminati con soggetti organici o contigui alle organizzazioni criminali egemoni ed al consequenziale sviamento dell’attività di gestione dai principi di legalità e buon andamento. Il penetrante condizionamento posto in essere dalla criminalità organizzata nei confronti dell’amministrazione, emerge, altresì, dall’analisi dei procedimenti concernenti l’affidamento di beni confiscati alla criminalità organizzata.
L’amministrazione comunale ha, infatti, concesso, per 15 anni e gratuitamente, un immobile ad una cooperativa pressoché inattiva da tempo perché sottoposta ad indagini per indebite percezioni di erogazioni pubbliche. L’organo ispettivo ha rilevato numerose criticità nella procedura di assegnazione del bene, in particolare, ha evidenziato che dall’esame della determina di affidamento non emerge lo scopo sociale perseguito dalla cooperativa né le finalità di utilizzo dell’immobile.

La relazione del prefetto ha inoltre posto in rilievo come, sempre dall’esame delle determine, sia emersa l’esistenza di «un vero e proprio ‘sistema’ che, da un lato consenti di aggiudicare appalti sempre alle medesime ditte in base ad una rotazione delle stesse e, dall’altro, attraverso il meccanismo delle proroghe ripetute permette alla ditte un sostanziale recupero del ribasso offerto in sede di gara. Tale consolidato modus operandi ha permesso di eludere le disposizioni in materia di informazioni antimafia. E’ altresì evidenziato come in tale settore l’ente non abbia posto in essere alcuna preventiva forma di programmazione né alcuna attività di controllo nella fase di esecuzione delle opere dei servizi.
Elementi concreti che attestano una gestione amministrativa non aderente al principio di legalità sono emersi anche in relazione all’affidamento del servizio mensa scolastica per il periodo 2016 – 2019 disposto attraverso una gara d’appalto. L’organo ispettivo ha rilevato, nella procedura in questione, numerose irregolarità ed anomalie sia in sede di nomina e sostituzione dei componenti la commissione giudicatrice sia in ordine alle modalità di valutazione delle offerte. La gara è stata aggiudicata nel mese di febbraio 2017 ad una impresa che già aveva svolto lo stesso servizio nel triennio precedente ed il cui socio di maggioranza è gravato da precedenti penali.
L’impresa nell’aprile 2017 è stata destinataria di certificazione interdittiva antimafia emessa dal prefetto di Catanzaro a seguito della quale l’ente nel mese di maggio ha revocato l’affidamento. Evidenzia inoltre la commissione d’indagine che la società in argomento fino ad agosto 2017 deteneva anche il 20% del capitale sociale di altra società a sua volta destinataria, sin dal mese di gennaio 2016, di provvedimento d’interdittiva antimafia.
Disfunzioni e irregolarità sono state rilevate anche nelle procedure per l’affidamento del servizio di gestione del verde pubblico caratterizzate da un ripetuto ricorso ad assegnazioni dirette sulla base di infondati motivi di urgenza. Emblematico in tal senso si è rivelato l’esame di due determine dirigenziali con la prima delle quali il servizio di decoro del verde pubblico è affidato per un importo di circa 160.000 euro alla predetta cooperativa facente parte di una ATI e, solamente quattro mesi dopo, lo stesso servizio è nuovamente affidato alla stessa ATI per un importo di circa 50.000 euro. Analoghe illegittimità ed irregolarità, che delineano il quadro di un’amministrazione pervicacemente gestita in dispregio del principio di legalità, sono emerse dall’analisi delle procedure di appalto dei lavori pubblici. Anche in questo ambito la commissione d’indagine ha rinvenuto il frequente ricorso dell’amministrazione comunale agli affidamenti diretti in evidente violazione delle vigenti disposizioni. Le verifiche disposte hanno evidenziato che l’ente, anche nei rari casi in cui ha provveduto ad aggiudicare lavori mediante procedure di evidenza pubblica, ha poi affidato alle imprese aggiudicatarie ulteriori lavori anche in altra tipologia. In tal senso è significativa la vicenda relativa ad una impresa alla quale sono stati aggiudicati con contratto stipulato nell’agosto 2016 lavori per la manutenzione delle strade comunali – per l’importo di circa 270.000 euro – a cui è seguita, nei mesi di novembre e dicembre 2016, l’assegnazione sempre alla stessa ditta e senza alcuna gara di nuovi lavori per l’importo di oltre 40.000 euro, soglia che supera il tetto previsto dalla normativa comunitaria per gli affidamenti diretti”.