Cassazione annulla assoluzione Domenico Chirico “’u duru”

Lamezia Terme – La seconda sezione penale della Corte di Cassazione, all’udeinza dell’8 giugno scorso ha annullato la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Catanzaro il 22 marzo 2017, a mezzo della quale Domenico Chirico detto “u duru” era stato assolto dal reato di estorsione commessa con modalità mafiose.
La Procura Generale, infatti, impugnando il verdetto della Corte d’Appello, ha ottenuto l’annullamento dello stesso con conseguente rinvio ad altra sezione della stessa Corte.
Domenico Chirico era stato tratto in arresto nel giugno del 2015 in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Tribunale di Catanzaro (dott.ssa Assunta Maiore), su conforme richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia del capoluogo calabrese, a firma del sostituto Elio Romano e Procuratore della Repubblica Antonio Vincenzo Lombardo, a seguito di indagini svolte dal Nucleo Mobile Gruppo Guardia di Finanza di Lamezia Terme, alla guida del Tenente Colonnello Fabio Bianco.
I reati ravvisati, per i quali il Giudice aveva emesso il provvedimento restrittivo, erano, per l’appunto, estorsioni plurime ed aggravate dall’essere state commesse con il metodo mafioso a danno di imprenditori titolari di locali pubblici notturni ubicati nel lametino.
Secondo l’accusa, il Chirico Domenico, avvalendosi del suo potere intimidatorio, derivante dalla sua fama criminale, presso varie discoteche della zona imponeva ai rispettivi gestori l’erogazione di ingressi e consumazioni gratuite.
In primo grado, al termine del processo con rito abbreviato, fu condannato dal Tribunale di Lamezia Terme –collegio presieduto dal dott. Carlo Fontanazza (a latere Prignani e Martire)- alla pena di anni 5 e mesi 4 di reclusione ed euro 2.000,00 di multa perché Domenico Chirico fu ritenuto colpevole del reato di estorsione aggravato dal metodo mafioso.
Inoltre, fu applicata al medesimo la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e dell’interdizione legale durante la pena, oltre al pagamento delle spese di giudizio e di custodia.
Ora la Corte d’Appello di Catanzaro dovrà pronunciarsi nuovamente, attenendosi alle censure della Suprema Corte.

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