Lamezia Terme – “Non si tratta della Chiesa universale ma di questa nostra che è in Calabria e soltanto di qualche connotazione. Si possono rilevare aspetti positivi o meno, ma si può affermare che il lavoro pastorale possibile è presente in tutte le Dodici Diocesi, nonostante l’attuale situazione pandemica”. È con questo incipit che inizia la riflessione del vescovo emerito della Diocesi di Lamezia Terme, monsignor Vincenzo Rimedio, sulla Chiesa ai tempi della pandemia. “L’aspetto positivo – prosegue – risulta la proposta del Vangelo rilanciata dagli ultimi Sommi Pontefici. La Chiesa, nel suo insieme, si è sentita chiamata ad annettere l’importanza e l’interesse dovuti al messaggio evangelico. Così si ritorna alla Missione svolta da Cristo nella terra di Palestina, dove miracoli e annunci della ‘Buona Novella’ si sono intrecciati, meravigliando i presenti. Altro aspetto positivo risulta la vicinanza concreta ai poveri: dove vi è qualche bisogno spirituale e materiale, la Chiesa di Calabria, si rende presente in conformità con l’esempio di Cristo.
In presenza del ‘coronavirus’, i poveri sono aumentati, e anche l’industria e l’economia sono in difficoltà. Non deve mancare la speranza nel Signore e in quelli che si sono impegnati ad operare per il vaccino. Sono da tempo un Vescovo emerito di Lamezia Terme e l’interesse per la Chiesa non si mette da parte. Ecco qualche connotazione presente in me prima della presenza del Covid 19. Ora condivido tutti i disagi che incontrano nel loro Ministero i Vescovi e i Parroci: è come costretta la libertà d’azione pastorale. Ma tornando al tempo precedente la pandemia, mi accorgevo di una Chiesa che poteva essere più viva, più evangelizzante”.
Parte dei parroci – aggiunge – si rivelava piuttosto appiattita su sé stessa (più da funzionari che da missionari). E il clima di fraternità tra Sacerdoti lasciava a desiderare in più Diocesi. Scrivo chiaramente: la Chiesa ha una particolare sofferenza: non avere tutti i Sacerdoti, giovani e anziani, “uomini spirituali”. L’essere spirituali porta ad un’intensa comunione con Cristo, ad una affinità di pensiero, di affetti con Lui. Porta a vincere le suggestioni interne ed esterne. Porta inoltre a coltivare l’essere più che l’avere, che può creare schiavitù. Alcuni si dimostrano più protesi all’avere, che può creare schiavitù e non all’essere che è libertà, perfezione. Da Vescovi, da Parroci, da Sacerdoti, da Diaconi e da Popolo di Dio – conclude – siamo chiamati ad amare con tanto cuore, con tanta fede la Chiesa: la Madre si ama in questo modo e si onora volendola sinceramente bella e pura, come l’ha resa con il suo sangue Gesù”.