Bruciato vivo dalla moglie nella Locride, tre arresti

Reggio Calabria – I carabinieri del comando provinciale di Reggio Calabria hanno arrestato tre persone per la barbara uccisione di Vincenzo Cordì, bruciato vivo dentro la sua autovettura la sera dell’11 novembre dello scorso anno nella Locride. I tre destinatari dell’ordinanza di misura cautelare emessa dal gip di Locri sono la moglie della vittima, Susanna Brescia di 43 anni, il figlio di un precedente matrimonio della donna, Francesco Sfara di 22 anni, e un uomo con cui la donna aveva una relazione sentimentale, Giuseppe Menniti, operaio di 41 anni. Tutto sembrava indicare il suicidio, l’auto carbonizzata rinvenuta dai carabinieri in una località remota del comune di San Giovanni di Gerace, dopo che la moglie ne aveva denunciato la scomparsa raccontando che il marito soffriva di depressione. Invece le indagini dei carabinieri del Gruppo Locri, coordinati dalla Procura di Locri, hanno svelato uno dei crimini più efferati degli ultimi tempi nella Locride. Un delitto il cui movente va ricercato nell’ambiente familiare, i carabinieri escludono categoricamente possa essere riconducibile ad ambienti di criminalità organizzata.

“Rischiava di essere un cold case e invece l’abbiamo risolto”, è quanto ha affermato il procuratore di Locri, Luigi D’Alessio, nel corso della conferenza stampa tenuta oggi pomeriggio a Locri. D’Alessio ha speso parole di elogio per gli investigatori dell’Arma e per gli specialisti del Ris di Messina: “Questo è un caso che si gioca quasi tutto sulla prova scientifica, non si hanno altre possibilità quando ci si trova davanti a delitti di questa tipologia”. La consulenza è stata delegata, oltre che al medico legale che solitamente collabora con la Procura, anche al professore Introna di Bari, cui è stata affidata in particolare l’analisi dei resti di Cordì “perché la stessa vittima ci parlasse – ha detto D’Alessio – e ci dicesse quanti più dati era possibile acquisire”. Le indagini si sono avvalse anche di altri elementi di prova scientifica come impronte digitali, videoriprese e materiale estrapolato dai telefoni cellulari degli indagati. Accanto all’auto bruciata, la Fiat 16 della vittima, è stato rinvenuto l’accendino utilizzato per dare fuoco all’uomo, tramortito e adagiato sul sedile lato guida e cosparso di benzina. Sull’accendino è stata rinvenuta l’impronta digitale della moglie. La donna aveva raccontato agli investigatori di essere rincasata intorno alle 22:30 la notte dell’11 novembre, invece dalle analisi delle celle telefoniche risulta che è rincasata dopo mezzanotte. Un delitto premeditato, secondo gli inquirenti, che grazie al lavoro meticoloso dei militari dell’Arma hanno ricostruito le fasi salienti che hanno preceduto il delitto. Soprattutto i movimenti della Fiat Punto con a bordo madre e figlio, prima vanno a prelevare l’amante della donna, poi la tanica riempita di benzina a un distributore. Anche il maltempo ha aiutato i carabinieri: un lampo ha illuminato nella notte l’auto che procedeva a luci spente, erano tornati al distributore per recuperare un euro di benzina che non era stata erogata perché non entrava nella tanica. Il lampo ha permesso alle telecamere dell’impianto di sorveglianza del distributore di carburante di fornire agli inquirenti un elemento decisivo per far luce sul delitto.

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