Omicidio Amendola: falsa testimonianza, assolti due imputati

scena-omicidio-amendolaLamezia Terme – Erano accusati di avere reso falsa testimonianza davanti alla Corte di Assise di Catanzaro nel processo per l’omicidio di Roberto Amendola, ma il Gup di Catanzaro Giuseppe Perri li ha assolti “perché il fatto non costituisce reato”, come richiesto dagli avvocati Aldo Ferraro e Massimo Sereno, nonostante la dura richiesta di pena di 2 anni di reclusione formulata dal pubblico ministero. Il processo prese le mosse proprio dalla testimonianza che gli odierni imputati, G.F. e M.A., avevano reso nel processo a carico di Aldo Notarianni, Domenico Giampà e Aurelio Notarianni per l’omicidio di Roberto Amendola, davanti alla Corte di Assise di Catanzaro, avendo i due testimoni dichiarato, in quella sede, di non riconoscere, nella conversazione ambientale che era stata fatta ascoltare loro, la voce di alcun interlocutore, mentre invece durante le indagini preliminari gli stessi avevano dichiarato di riconoscere, senza ombra di dubbio, la voce di Domenico Giampà. In quel processo, la Corte di Assise decise di acquisire le dichiarazioni rese dai due testimoni in fase di indagine ai sensi dell’articolo 500 comma 4 codice di procedura penale, che lo consente nel caso in cui vi siano elementi per ritenere che il testimone sia stato sottoposto a violenza o minaccia, così pervenendo alla condanna degli imputati a prescindere da quanto dichiarato in dibattimento dai due. Con la stessa sentenza, la Corte dispose la trasmissione degli atti all’ufficio di Procura nei confronti di quei due testimoni per il reato di falsa testimonianza, dal che ne è scaturito il processo conclusosi stamane. Il difensore di G.F., l’avvocato Aldo aldo-ferraro-02-07Ferraro, ha fermamente contestato l’impianto accusatorio mettendo in evidenza l’impossibilità di ritenere che i due testimoni oggi imputati si fossero determinati liberamente a dichiarare il falso, dovendosi al contrario prendere atto delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia Giuseppe Giampà e Angelo Torcasio che si erano autoaccusati di essere il mandante il primo, e l’esecutore materiale il secondo, delle minacce e dei danneggiamenti compiuti proprio contro gli odierni imputati, all’epoca testimoni, al fine di indurli a ritrattare le dichiarazioni che avevano reso agli inquirenti, e di cui erano venuti a conoscenza i componenti della cosca. La dimostrazione di tali pressioni, ad avviso del difensore, consente di ritenere che la falsa testimonianza, certamente tale, non costituiva reato in quanto commessa al fine di scongiurare ed evitare le gravi e concrete minacce di morte di cui gli stessi erano stati destinatari. D’altronde, ha messo in evidenza l’Avvocato Ferraro, il fatto che la Corte di Assise abbia acquisito le dichiarazioni rese dagli odierni imputati in fase di indagini, ritenendo non attendibili quelle rese in dibattimento, esclude che i due testimoni abbiano liberamente scelto di dichiarare il falso, avendolo fatto perché costretti a farlo. E ciò in quanto l’istituto a cui ha fatto ricorso la Corte di Assise, secondo il difensore, presuppone proprio la prova di una “condotta illecita” commessa “sul” dichiarante, non applicandosi alle ipotesi in cui il testimone, al di fuori da ogni condizionamento, scelga di testimoniare il falso. Il Gup Perri, avendo gli imputati chiesto di essere giudicati con rito abbreviato, ha assolto entrambi gli imputati “perché il fatto non costituisce reato”, riservandosi 90 giorni per il deposito delle motivazioni.