Caso Calabria: le considerazioni di Romano De Grazia

Romano De Grazia

Romano De Grazia

Romano De Grazia(Magistrato)
Le recenti e note vicende calabresi hanno riproposto con forza il difficile equilibro fra la necessità di assicurare la trasparenza dell’agire politico/amministrativo e garantire l’immagine e la reputazione delle persone. L’attuale assetto normativo non fornisce strumenti adeguati a tale fini. Se infatti l’atteggiamento della Lanzetta appare corrente con la “voglia” di trasparenza che si respira in Calabria, ugualmente meritevole appare l’attenzione di Oliverio verso la tutela dell’immagine di De Gaetano che non risulta essere stato raggiunto da alcun provvedimento dell’autorità giudiziaria.
D’altra parte l’attuale 416 ter c.p. descrive la condotta rilevante penalmente in modo tale che il semplice rinvenimento di materiale elettorale nel “covo” di una “famiglia” storica della ‘ndrangheta di per sé non può comportare neanche l’apertura di un procedimento penale. Ne consegue che la figura del politico colpito dalla vicenda sarà sempre offuscata dal tarlo del sospetto. Cosa diversa se vi fosse una norma che consentisse l’avvio di un procedimento penale volto ad accertare se il materiale elettorale rinvenuto sia o no segno di una collusione fra il politico e la criminalità organizzata oppure una “trappola” ben organizzata. Si potrebbe in questo modo fare chiarezza e, in caso dì estraneità restituire al politico la dignità che si merita oppure, in caso di collusione, punirlo debitamente.
Ebbene, la c.d. legge Lazzati, con le correzioni da tempo richieste, avrebbe consentito tutto ciò.”.
Il disegno di legge Lazzati, come noto, prevede il divieto per il sorvegliato speciale di poter fare propaganda elettorale punendolo, in caso di violazione, con sanzione penale. La sanzione penale, con conseguente interdizione dai pubblici uffici, ineleggibilità e decadenza dalla carica, viene estesa anche al candidato che la richiede o la sollecita.
Tale norma, introdotta nel nostro ordinamento con L. 13.10.2010, n. 175 e poi inserita agli artt. 67, VII co, e 76, VIII e IX co, D.L.vo n. 159/2011 (codice antimafia), ha finalmente posto rimedio ad una evidente lacuna nell’ordinamento italiano che pur privando espressamente il sorvegliato speciale da qualunque diritto di elettorato sia attivo che passivo, nulla diceva sulla capacità/possibilità di fare propaganda elettorale.
Purtroppo, durante il dibattito parlamentare l’originario disegno di legge è stato parzialmente modificato con l’introduzione di alcune incongruenze che ne hanno ridotto la portata applicativa. Va detto che al momento del voto finale tali aporie erano state evidenziate ma data la fortissima resistenza che tale legge aveva incontrato, il relatore e lo stesso Governo hanno preferito, per evitare nuove letture, non correggere il testo ma approvare una sorta di “ordine del giorno interpretativo” con la promessa, poi resasi vana, di un veloce emendamento del testo in occasione dell’approvazione del c.d. “Codice antimafia”.
Le modifiche emendative sono state riproposte più volte in ogni legislatura successiva ma hanno sempre trovato resistenza con motivazioni pretestuose o quantomeno superficiali: in ultimo l’opposizione si è concentrata proprio sulla presunta inutilità della c.d. Legge Lazzati data la sopravvenuta approvazione della modifica dell’art. 416 ter c.p.. Il recentissimo indirizzo giurisprudenziale ha una volta per tutte spazzato via tale critica dando così ragione ai numerosi appelli rivolti da Romano De Grazia sulla piena vitalità e validità del disegno Lazzati e sulla sua complementarietà rispetto all’impianto codicistico.
Mentre il 416 ter c.p. vuol colpire un metodo (quello di intimidazione mafiosa) di procacciamento del consenso elettorale, la legge Lazzati invece vuol impedire che soggetti, già dichiarati socialmente pericolosi per la loro contiguità/appartenenza alla criminalità organizzata, possano fare propaganda elettorale. I vantaggi applicativi appaiono del tutto evidenti: nel primo caso sarà necessario acquisire la prova dell’esistenza della promessa e soprattutto del metodo; nel secondo caso invece è sufficiente che le forze dell’ordine, che già hanno l’obbligo di controllare i sorvegliati speciali, acquisiscano la prova della propaganda elettorale, propaganda elettorale che è cosa ben diversa dal semplice ritrovamento di materiale elettorale.
Chi vive nel territorio dove prolifera la mafia, chi abita nei quartieri, nei paesi nelle cittadine a forte infiltrazione mafiosa conosce perfettamente chi è un capo mafioso e sa perfettamente che a volte è sufficiente “l’attivarsi” per un candidato, per un simbolo o una lista a far conseguire un risultato elettorale; non è certamente necessario alcun patto di scambio e/o consapevolezza, neanche “ambientale”, di atti di intimidazione o di assoggettamento. Se anche si dovesse seguire il più rigoroso indirizzo giurisprudenziale che ritiene sufficiente la consapevolezza c.d. “ambientale” ad integrare il requisito del “metodo mafioso”, ferma rimane la necessità della prova del patto. Quando non vi è la prova dello “scambio” l’art. 416 ter c.p. non può essere applicato. La legge Lazzati invece prescinde da tutto ciò e va a colpire il mafioso nel momento della raccolta del consenso elettorale; vuol impedire che la mafia faccia propaganda per questo o quel candidato o partito; vuol impedire sin dal momento fisiologico della raccolta dei voti la possibilità che nasca un legame con il politico. La legge Lazzati non ha come finalità precipua quella di colpire il rappresentante del popolo o l’esistenza di un accordo perverso, ma quella di impedire che la mafia diventi soggetto politico. E’ questa la felice intuizione del dott. De Grazia che, con una semplice e veloce norma, vuol cercare di impedire alla radice che la mafia possa vantare una benemerenza con il politico di turno, possa alterare o comunque incidere sulla democrazia, che ha nel momento elettorale la sua massima esplicazione.
Tali considerazioni sono talmente evidenti che risultano incomprensibili le opposizioni, gli atteggiamenti equivoci, le freddezze che la legge Lazzati ed i tentativi di emendarne i difetti hanno incontrato e continuano ad incontrare anche presso associazioni che tanto hanno dato e continuano a dare nella lotta contro la criminalità organizzata.
Per riassumere, come ripetutamente scritto dal compianto Prof. Vittorio Grevi, la legge Lazzati nel suo testo originario colma una lacuna del sistema:
1) perché consente di sanzionare i pur emersi rapporti elettorali intercorsi tra malavitoso sottoposto alla misura della sorveglianza speciale e quelli del suo clan con il candidato di pochi scrupoli, prescindendosi dal rapporto sottostante – do ut des, do ut facias -;
2) perché, altro rilevante effetto, previene o meglio evita il provvedimento di scioglimento dell’assemblea dell’ente elettivo, consentendo la individuazione sin dalla competizione elettorale del candidato appoggiato dalla mafia (necessariamente il nome di questi deve essere propagandato per poi essere votato)
E’ inoltre di tutta evidenza, come in precedenza detto, la complementarietà della legge Lazzati alla normativa di cui agli artt. 416 bis e 416 ter C P. La legge Lazzati si applica al momento elettorale, prescinde non solo dalla dimostrazione della ragione per la quale politico e malavitoso hanno deciso l’accordo elettorale, ma dalla stessa esistenza di un patto e si raccorda con la menzionata normativa nel senso che se vi fosse sin da subito dimostrazione dell’intervenuto accordo e del suo illecito contenuto il PM procederebbe a carico dell’uno e dell’altro (malavitoso e candidato) ai sensi degli artt. 416 ter e 416 bis C P. Se invece tale prova non vi fosse o se addirittura non sussistesse un previo accordo fra malavitoso e politico solo la legge Lazzati potrebbe trovare spazi operativi perché avrebbe la capacità di colpire anche solo il mafioso.
Si ripete, infatti, che la legge Lazzati ha come obiettivo quello di impedire che i soggetti socialmente pericolosi, così riconosciuti e dichiarati dall’autorità giudiziaria, possano tranquillamente fare propaganda elettorale alla ricerca di consensi per questo o quel candidato o lista o simbolo. In tal modo, se ne si ha la voglia, si toglie la politica ai delinquenti e la delinquenza ai politici.
Con ciò, con il ribadire cioè la piena e completa vitalità del disegno Lazzati non si vuole affermarne la perfezione; è evidente infatti che ogni testo legislativo è suscettibile di miglioramento (pur se già passato al vaglio di grandissimi giuristi come Cesare Ruperto, Federico Stella e Vittorio Grevi) e per questo vi è totale disponibilità di ascolto e di confronto per cercare di restituire alla legge Lazzati l’iniziale capacità applicativa e coerenza con l’ordinamento giuridico; ciò che è invece incomprensibile è il rifiuto di discuterne apertamente e senza riserve mentali.