Pasqua: e in Calabria si ripete il rito dei ”Vattienti”

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Lamezia Terme – Un rito che si ripete da secoli quello dei i ‘vattienti’ di Nocera Terinese, comune dell’entroterra lametino, in Calabria, dove la flagellazione del Cristo si ripete ogni anno la mattina del sabato santo per le vie del paese. Protagonisti una settantina di giovani che sfilano in processione percuotendosi le gambe e le cosce con una specie di spazzola di ferro, fino a farle sanguinare. Un rituale simile ad una ”sacra corrida”. Si tratta per lo piu’ di gente di fede che si offre spontaneamente per vivere in questo modo la passione, alla quale pero’ da qualche anno, si sono aggiunti anche veri e propri professionisti. Un rito simile si svolge anche a Verbicaro, paese del Tirreno cosentino, e a Guardia Sanframondi, un paesino del Sannio, in Lucania: qui, pero’, i ”vattienti” si percuotono il petto. ”Fra i riti della flagellazione ancora esistenti -spiega l’antropologo Franco Ferlaino, docente all’Universita’ della Calabria, che sull’argomento ha scritto anche un libro- quello di Nocera e’ il piu’ complesso”.

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Il momento piu’ atteso, aggiunge lo studioso, e’ sicuramente quello della preparazione, che si svolge nello scantinato della casa del ”vattiente”, davanti a un grande pentolone che contiene una mistura bollente di acqua e rosmarino. Il ”vattiente” indossa un pantaloncino nero tirato sulle natiche. Si sistema sul capo una corona di spine, immerge le mani nell’infuso di  rosmarino e riscalda i polpacci delle gambe e delle cosce per far affiorare piu’  rapidamente sangue nei capillari. A questo punto il ”vattiente” inizia a percuotersi. Prima con la ‘rosa’, cioe’ un disco di sughero del diametro di 9-10 centimetri, che usa come una spazzola, battendosi dall’alto verso il basso. Quando i polpacci sono diventati rosei, comincia a battersi con il ‘cardo’, un altro disco di sughero, sul quale sono fissate 13 schegge di vetro, le ‘lanze’, che lacerano le gambe e le cosce. Inizia cosi’ la sua ‘via crucis’ davanti casa.

”Durante il percorso, accanto al ‘vattiente’ -racconta ancora
Ferlaino- c’e’ sempre un amico, che porta un recipiente pieno di vino: ha il compito di seguire il flagellante, versandogli il vino per pulire le ferite. Il  vino serve a disinfettare e, allo stesso tempo, a mantenere aperte le ferite,  favorendo il defluire del sangue”. Seguito dall’ecce homo e dall’amico con il  vino, il ”vattiente” parte quindi da casa per dirigersi verso il centro del paese, alla ricerca della processione dell’Addolorata.

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”Non esiste un percorso  obbligato -spiega l’antropologo-. Ogni ‘vattiente’ sceglie il suo e decide in  quale punto deve incontrare la processione. Una volta incontrata la Pieta’, il ‘vattiente’ rientra a casa. Ha concluso il rito”. ”La prima vera motivazione di fondo che spinge un giovane a battersi a sangue -afferma Ferlaino- va ricercata nell’intimo di ogni vattiente. Si tratta di motivi individuali. Il fattore preponderante resta comunque il voto che induce a implorare una grazia per la salute, per la propria vita o per quella dei propri cari. Effondendo il proprio sangue si fa un’offerta gradita alla divinita’ implorata. Ma c’e’ anche chi lo fa per continuare una tradizione  di famiglia o per ottenere un riconoscimento sociale, per essere accettato dalla  famiglia della fidanzata, per condividere l’esperienza con un amico”.

‘’La societa’ attuale -spiega Luigi Maria Lombardi Satriani,  Antropologo – ha forti esigenze di valorizzazione simbolica. Nel rito del sangue si realizzano meccanismi di rifondazione della vita, sia di quella dei protagonisti del rito che di quella dell’intera comunita”’. ”Credo -aggiunge lo studioso calabrese- che in questi ultimi anni possano anche essere scattate valenze  narcisistiche, sia per l’interesse del rito in se’ che per la gente che vi assiste (i vattienti,  infatti, vanno in giro casa per casa, ndr). Un rito puo’ anche diventare  spettacolo”. ”I primi documenti dei ‘vattienti’ di Nocera Terinese -ricorda  Ferlaino- risalgono al diciottesimo secolo. Anche se va ricordato che nella  diocesi di Tropea, nella cui giurisdizione ricadeva il paese fino al 1964, i  flagellanti sono testimoniati fin dal 1600”. Ma la Chiesa tollera tutto cio’?  ”La Chiesa -risponde Ferlaino- non ha espresso posizioni univoche. A partire  dalla seconda meta’ del secolo scorso, ha espresso severe condanne, tanto che  nel 1970 il vescovo, monsignor Agostino Saba, ottenne l’intervento di 60  militari per stroncare un rito che ormai veniva praticato solo da sette-otto  persone. Dopo il Concilio Vaticano II, pero’, la Chiesa ha assunto una posizione  di mediazione. E questo ha favorito la ripresa del rito”.

Giuseppe Natrella