Insegnante uccisa: Marziale, uccidere madre e’ come annientarsi

marziale13-05
Catanzaro – “Uccidere la madre vuol dire voler annientare, scientemente, la parte piu’ intima di se stessi, quella parte critica che, sola, puo’ penetrare nel tessuto emotivo dei soggetti inchiodandoli davanti allo specchio della verita’, che nell’era dei social network fa risaltare le fragilita’ e non i costrutti di quella artata fantasia che ti rende perfetto agli occhi degli altri”: e’ quanto sostiene il sociologo Antonio Marziale, presidente dell’Osservatorio sui Diritti dei Minori, nel commentare l’arresto di un minorenne, a Cosenza, accusato di avere strozzato la madre, Patrizia Schettini. Per Marziale “non occorre, adesso, inerpicarsi sulle pareti scoscese delle diagnosi intrapsichiche, perche’ quanto avvenuto, per futili motivi, per un normale confronto generazionale, e’ frutto di lucidita’ strategica che il minorenne ha palesato negli attimi immediatamente successivi al decesso della madre al fine di sviare le indagini, senza riuscire pero’ ad ingannare gli uomini del vice questore Giuseppe Zanfini, ai quali va il piu’ sincero apprezzamento per la professionalita’ e la sensibilita’ che ha contraddistinto l’azione di Polizia al cospetto di un caso destinato a rimanere impresso nella storia dei delitti piu’ raccapriccianti”. “Pensare di farsi tatuare a tutto braccio – evidenzia il sociologo – un’ode d’amore alla madre, dopo averla uccisa e dopo avere fatto di tutto per nascondere l’orrenda verita’, ci dice che abbiamo a che fare con una mente lucidamente esaltata, secondo un copione che nell’era che ci e’ data da vivere e’ sovente recitato da Novi Ligure in poi, dove Erika e Omar, dopo avere massacrato la di lei madre e il fratellino, indussero l’opinione pubblica ad immaginare come responsabili loschi immigrati, al punto da provocare manifestazioni politicamente indignate. Adesso – conclude il presidente dell’Osservatorio – e’ tempo della pieta’, e’ tempo della giustizia, che tenuto conto dell’eta’ dell’omicida non potra’ comminare l’ergastolo, come magari i piu’ indignati vorrebbero, ma e’ anche tempo che la giustizia si renda conto che l’adolescenza non e’ una malattia, bensi’ una fase della vita che ci dice con che tipo di soggetto la societa’ avra’ a che fare”.