Belice: 1968, la Sicilia trema. Devastazione e morte

Partanna (Trapani) – Il 14 gennaio 1968 furono avvertite le prime scosse: tremo’ tutta la Sicilia occidentale, non si registrarono crolli ma la gente fu presa dal panico e decise, fortunatamente, di dormire all’aperto, avvolta in coperte o in macchina, sulle piazze dei paesi o in aperta campagna. In piena notte, infatti, si verifico’ una scossa violentissima che colpi’ la Valle del Belice, dove subirono danni gravissimi Gibellina, Salaparuta, Santa Ninfa, Montevago, Partanna, Poggioreale e Santa Margherita Belice, compresi nei territori delle province di Trapani e Agrigento che, all’epoca del terremoto, non erano classificati sismici. Descrive cosi’ quello che accadde, la Protezione civile nazionale, nella ricostruzione asciutta contenuta nel suo archivio.
Questa la impressionante scheda tecnica del momento terribilmente cruciale: “Data: 15 gennaio 1968, ore 3. Magnitudo: 6.1 (Maw). Intensita’ epicentrale: X grado (MCS) Vittime: 296”. Decimo grado della scala macrosismica Mercalli-Cancani-Sieberg, cioe’ sisma “completamente distruttivo”.
Nel mese di gennaio del 1968 ebbe inizio in Sicilia occidentale un lungo periodo sismico che termino’ nel mese di febbraio del 1969, caratterizzato da numerose scosse, le piu’ forti delle quali si verificarono tra il 14 ed il 25 gennaio 1968. Il 90% del patrimonio edilizio rurale subi’ danni irreparabili, con gravi ripercussioni sull’economia quasi esclusivamente agricola dell’area.
Sulla gravita’ del danno, nota la Protezione civile, pesarono le caratteristiche costruttive e la vetusta’ degli edifici, realizzati in pietra squadrata con insufficiente malta cementizia, assenza di collegamenti tra le parti strutturali e fondazioni inadeguate.

Il 25 gennaio alle ore 10.52 una replica inaspettata, dell’VIII grado MCS, travolse una squadra di soccorritori all’opera tra le macerie, provocando la morte di un vigile del fuoco. La scossa provoco’ inoltre danni a Sciacca ed a Palermo, dove si svuotarono le scuole, gli uffici, le abitazioni e si torno’ a dormire all’aperto.
“TERRORE E DISASTRO”. IL ‘CRONISTA’ DON RIBOLDI Nel suo libro “Lettera dal Belice al Belice”, del 1977, don Antonio Riboldi, sacerdote rosminiano d’origine lombarda, morto lo scorso 10 dicembre, per anni e’ stato parroco di Santa Ninfa, voce dei terremotati, da testimone-cronista racconta i fatti.
Il 14 gennaio 1968. Due scosse di terremoto, alle ore 13 e alle ore 14,30, alle quali ne segue un’latra, alle 17.43, della durata di 52 secondo e un’altra alle 22, fanno tremare tutta la Sicilia occidentale. Non si registrano crolli, ma la gente terrorizzata, decide di non restare in casa e di dormire all’aperto. Questo fortunatamente evitera’ una ecatombe.
15 gennaio 1968. E’ notta fonda. I Paesi della Valle del Belice sono stranamente ricoperti di neve, fatto abbastanza insolito in queste zone. Alle 2.34 una violentissima scossa dell’ottavo grado e mezzo della Scala Mercalli, alla quale ne segue un’altra, alle 3, piu’ lunga della precedente e del nono grado, fa saltare i pennini dei sismografi e distrugge completamente Montevago, Salaparuta, Gibellina. L’80% delle case di Poggioreale, Santa Ninfa, Santa Margherita Belice sono rase al suolo. A Camporeale, Vita e Calatafimi il 30% delle abitazioni subiscono gravi danni. Alle ore 4.20 una scossa del settimo grado della scala Mercalli semina nuovo terrore. All’alba livida e gelida, tra le urla della gente impazzita di paura, si contano i morti e i feriti. Il Governo decide l’invio di in Sicilia di 13.000 uomini con 170 mezzi e attrezzi speciali.

MORTI E FERITI Questi i dati che riporta don Riboldi nel suo libro: – Provincia Trapani: Gibellina: 6.000 abitanti, 185 morti e 190 feriti; Salaparuta: 3.000 abitanti, 28 morti e 66 feriti; Salemi: 15.000 abitanti, 5 morti e 16 feriti; Santa Ninfa: 6.000 abitanti, 21 morti e 46 feriti; Partanna: 13.000 abitanti, 4 morti e 7 feriti; Poggioreale: 3.000 abitanti, 3 morti e 31 feriti; Vita: 4.000 abitanti, 2 feriti.
– Provincia di Agrigento: Montevago: 3.000 abitanti, 90 morti e 120 feriti; Santa Margherita Belice: 7.000 abitanti, 15 morti e 80 feriti; Sambuca di Sicilia: 7.000 abitanti, 3 feriti; Menfi: 12.000 abitanti, 15 feriti.
– Provincia di Palermo: Contessa Entellina: 2.500 abitanti, 3 feriti; Roccamena: 2.700 abitanti, 3 feriti. (AGI) – Le case: Provincia di Trapani: 9.000 le case completamente distrutte; 10.000 hanno subito gravi danni; 12.000 lesionate; provincia di Agrigento: 2.000 case distrutte; 14.000 lesionate; provincia di Palermo: 4.000 case risultano lesionate.
Una prima valutazione sommaria stima i danni subito in oltre 100 miliardi di lire. Circa 100.000 sono rimasti senza tetto. (AGI)
MAPPA GEOGRAFICA DEL TERREMOTO Paesi totalmente distrutti e totalmente ‘trasferibili’: Gibellina, Salaparuta, Poggioreale, Montevago; paesi totalmente distrutti, ma in parte riedificati sul posto e in parte trasferibili: Santa Ninfa e Santa Margherita Belice; paesi che hanno conservato per tre quarti intatto il loro centro storico e dai quali solo una parte degli abitanti debbono essere trasferiti. Salemi, Partanna, Vita, Calatafimi, Sambuca di Sicilia, Menfi, Contessa Entellina, Roccamena, Camporeale.
LA GRANDE DIASPORA Dal 18 al 24 gennaio 1968, 10.000 persone prendono la strada del Nord, partono per un viaggio forse senza ritorno. Le Ferrovie dello Stato procurano un biglietto gratuito per qualunque destinazione. A Montevago, e in tutte le altre tendopoli, la polizia prepara un passaporto in pochi minuti e senza chiedere una lira. “L’antica maledizione della diaspora, con il terremoto, e’ tornata in Sicilia”. Inizia una ricostruzione che non finira’ mai. Con miliardi di risorse dispersi in mille rivoli, spesso ignoti. Finite nel nulla le inchieste sul ‘sacco della valle’.

 

Belice: il racconto, “boato immenso e d’improvviso il terremoto”
“Erano le tre del 15 gennaio 1968. Le lancette degli orologi posti sulle torri campanarie si bloccarono per sempre li’, su quell’ora, come se il tempo fosse stato colpito a morte e si fosse fermato. In quel momento tutta la Valle del Belice tremo’ paurosamente: si scosse in maniera ondulatoria e sussultoria, quasi volesse violentemente scrollarsi di dosso tutto cio’ che gli uomini con il tempo si era costruiti, rendendola un mondo abitato, uno di quei mondi che si formano misteriosamente; nascono da un nulla, poi, come il seme evangelico, divengono comunita’, storie di uomini”. E’ il racconto di un testimone speciale, don Antonio Riboldi, per anni parroco a Santa Ninfa, uno dei comuni sconvolti 50 anni fa dal devastante terremoto del Belice. Il vescovo di Acerra, morto lo scorso 10 dicembre, e’ stata la voce dei terremotati. Quella del 15 gennaio “era una notte stranissima: di quelle che sembrano percorse da un presentimento di tragedia che tutti respirano, senza saperne il perche’. E’ difficile che questo pezzo di Sicilia sia coperto di neve, ma quella notte tutta la Valle era bianca: una neve caduta abbondantemente nei giorni precedenti e che era rimasta sui tetti, per le strade e nelle campagne. Tutto il paesaggio, poi, illuminato, da una luna piena, assumeva decisamente i toni tra il fiabesco e il tragico. Si’, perche’ qui la neve non conosce spartineve: rende difficile tutto, anche la circolazione: e’ una neve che deve andarsene da sola, cosi’ come da sola e’ venuta. Fu un boato immenso, come venisse da lontano, ma che copriva e sovrastava tutto e tutti; e d’improvviso, il terremoto”.

 

Ogni uomo, aggiunge don Riboldi nel suo libro “Lettere dal Belice al Belice, pubblicato nel 1977, nove anni dopo il sisma, “lo senti’ come la morte che gli passava al fianco, anche se era al sicuro, in mezzo alla campagna ove nulla gli poteva crollare addosso, o in mezzo alla strada, o nelle case dove invece la morte, con il sussulto della terra, sembrava agitasse la propria falce in ogni direzione, all’impazzata, cercando di colpire chiunque gli capitasse a portata di mano. E molti perirono: chi colpito da un masso, mentre fuggiva per le strade, chi nel proprio letto ove si era assopito, chi scendendo le scale: sorpresi tutti nelle posizioni piu’ svariate, vero quadro macabro della morte. I superstiti erano pervasi dal terrore: chi con una sola volonta’, quella di fuggire non si sa dove, perdendo in questa fuga disordinata ogni controllo e andando inconsciamente, molte volte, proprio incontro alla morte; chi, invece, quasi paralizzato, restava inchiodato, al posto dov’era, come rassegnato a ogni cosa. Attorno, sopra, sotto, tutto sembrava impazzito. Ogni edificio si piegava fino a toccare terra per rialzarsi subito dopo e ornare a piegarsi dalla parte opposta, sussultava, come volesse alzarsi verso l’alto. Uomini e cose, si era nelle mani di una forza bruta che ci scuoteva fino a volerci rompere. Duro’ un minuto: si disse che il terremoto era del nono grado della scala Mercalli. Per chi era ‘dentro’, sembro’ un’eternita’: sembro’ la morte. Quando cesso’, ci si rese conto di essere nuovamente vivi. Ma che vita ci era rimasta?”.