Lamezia: La Calabria raccontata nel volume “Perche’ briganti”

 

Nella foto sa sinistra Romeo, Gigliotti, Iannazzo, Iannantuoni e Cefalì

Nella foto da sinistra Romeo, Gigliotti, Iannazzo, Iannantuoni e Cefalì

Le pagine di storia di una Calabria, che i libri ufficiali di scuola non hanno mai raccontato, dominano il volume “Perché briganti” scritto da Domenico Iannantuoni, presidente nazionale del comitato ‘No Lombroso’ e Francesco Cefalì, responsabile del comitato ‘No Lombroso Calabria’ e presentato durante un incontro organizzato dal Circolo di Riunione , presieduto da Felice Iannazzo. I due autori, in questo libro, affrontano il fenomeno del brigantaggio in Italia prima dell’Unità, soprattutto calabrese, alla luce del materiale storico tenuto nascosto e cercano di chiarire molti dubbi su fatti, date, episodi salienti della vita di Giuseppe Villella riscattandolo dall’accusa di brigantaggio e dimostrandone l’assoluta estraneità a fatti malavitosi. Ha relazionato il criminologo Domenico Romeo, il quale ha illustrato gli studi eseguiti sul cranio di Villella e ha tracciato il profilo di Cesare Lombroso attraverso «documenti alla mano» che danno un’idea della mentalità inquisitoria del tempo e della tirannia dei Savoia. Partendo dalle rivolte arcaiche, il criminologo è passato alla disamina del brigantaggio inteso come rivolta sociale, religiosa e politica, promossa nel Sud da pastori, contadini, legittimisti e soldati sbandati dell’esercito borbonico che si opposero alla dura e feroce repressione dei piemontesi dopo la proclamazione dell’Unità del 17 marzo 1861. Migliaia furono le condanne a morte ( 5512), tanti i processi, gli arresti e i paesi espropriati a sud Italia sotto la dinastia dei Savoia, definiti da Romeo «i primi traditori della patria e del meridione», avendolo privato della sua libertà, delle sue ricchezze e favorito l’emigrazione. «Furono una dinastia – ha sostenuto Romeo – vigliacca e sanguinaria e possono essere definiti gli antesignani dei nazisti; hanno inventato le deportazioni, i campi di concentramento e commesso tanti crimini. Tutto questo si trova negli Archivi di Stato di Roma». Il criminologo Romeo ha spostato la sua attenzione su Cesare Lombroso smontando i suoi teoremi che, basati su studi non prettamente scientifici, rappresentano il fondamento delle dottrine razziste. Pertanto Romeo ha rimarcato che «non può essere definito il padre dell’antropologia criminale ma piuttosto un serial killer fecitista: studiava gli scheletri, i feti, trafugava e squartava crani» come si può verificare visitando il museo Cesare Lombroso di Torino. Ed è offensivo al buon senso – per il Comitato No Lombroso – definire questo «un museo dove sono esposti ferri e strumenti di tortura vari insieme ad una raccolta di crani ( 742), feti, resti umani». Per quanto riguarda Giuseppe Villella, oggetto di studio di Lombroso, ricordato e rivalutato nel libro, Francesco Cefalì ha sostenuto che forse il cranio, di cui si è tanto parlato, non apparterrebbe a lui in base alla ricerca storica effettuata. Infatti, confrontando i dati di nascita e di morte tra Pavia, dove Villella morì (nel 1864 a 69 anni) e gli archivi parrocchiali di Motta Santa Lucia, dove nacque , non collimano e, quindi, probabilmente si potrebbe trattare di un altro Villella arrestato con la legge Pica dell’agosto 1864. A leggere ad alcune riflessioni sul Risorgimento è stata la dottoressa Raffaella Gigliotti.

Lina Latelli Nucifero