Processo Perseo: Meliado’, mio marito mi trattava da regina

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Stefania Cugnetto
Lamezia Terme – Termina con il controesame da parte degli avvocati della difesa la deposizione della moglie dell’ex boss Giuseppe Giampà, Teresa Francesca Meliadò. La donna ha risposto alle domande della difesa nell’aula Garofano del tribunale di Lamezia, durante l’udienza del processo Perseo. La Meliadò, rispondendo alle domande degli avvocati, ha tracciato le linee della sua storia con Giuseppe Giampà, il rapporto tra i due è iniziato quando lei aveva solo 16 anni e si è detta “inconsapevole” allora di chi fosse Giuseppe, e a quale famiglia appartenesse. Una donna che sembra sia stata sempre dietro le quinte, ma che quando il marito fu arrestato, diventò la sua portavoce e messaggera. La Meliadò ha però giovato della “stima” del marito, ricevendo presso vari esercizi commerciali sconti di “favore”.

Il contro esame della Meliadò da un sito protetto

Il contro esame della Meliadò da un sito protetto

Al centro del controesame dell’avvocato Francesco Pagliuso il tenore di vita della coppia, la donna ha affermato in aula “mio marito mi trattava come una regina, avevo persino la domestica”, parole che poi vengono sostituite con “anche quando potevo mettermelo io compravo dai cinesi, andavo nei negozi per comprare vestiti a Giuseppe o agli affiliati”. Divisa tra la vita da regina e la moglie inconsapevole, la Meliadò ha parlato della sua scelta di collaborare, e ha raccontato di averla condivisa con il marito solo tramite lettere, “abbiamo avuto lo stesso pensiero, ci scrivevamo perché lui era in carcere ed io agli arresti domiciliari, gli scrivevo che ero preoccupata per i nostri figli, che a scuola venivano isolati”.

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Ciò che non convince gli avvocati è la scelta comune dei due coniugi di collaborare e la donna ha tenuto più volte a precisare che la scelta di collaborare non sia stata pattuita con il marito ma era frutto di decisioni personali “io e Giuseppe abbiamo due menti diversi, io ragiono con la mia testa e lui con la sua”. L’avvocato Pagliuso ha, poi, provocato la donna dell’ex boss, chiedendole per lei essere moglie di Giampà sia stato difficile e le fosse anche convenuto “convenuto non credo, per me è stato difficile”. In conclusione l’avvocato Pagliuso ha sollevato dubbi in merito ad alcune dichiarazioni “tardive” rilasciate sia dalla Meliadò che da altri collaboratori, insinuando che siano frutto di rivendicazioni personali per favori negati. Della scelta di collaborare della Meliadò parla anche l’avvocato Luca Scaramuzzino, e la donna ha spiegato“l’ho fatto per i miei figli, soprattutto per la femmina che non avrebbe avuto futuro, a Lamezia sarebbe rimasta sempre la figlia di Giampà”.

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L’avvocato Scaramuzzino ha poi chiesto alla collaboratrice se avesse avuto mai modo di leggere dichiarazioni di Angelo Torcasio “assolutamente no, ci furono vari pettegolezzi sul pentimento di Angelo Torcasio, ma io ho avuto solo la certezza quando me lo riferì Domenico Curcio, cognato di Angelo”. In conclusione il difensore ha chiesto se suo marito, Giuseppe Giampà, avesse avuto relazioni con altre donne, lei ha risposto “glielo dico con il cuore in mano, avrei preferito che avesse avuto più donne, magari non avrebbe avuto modo di fare tutti quegli omicidi”. Sempre su Angelo Torcasio e sulla sua scelta di collaborare si è soffermato l’avvocato Pino Spinelli, che ha chiesto alla Meliadò se avesse in qualche occasione parlato di questo con Giuseppe Giampà “con Giuseppe ne parlammo solo durante un colloquio, io gli dissi della decisone di Torcasio e lui si fece il segno della croce”, ma l’avvocato ha insisitito chiedendo se la coppia avesse mai parlato del perché della collaborazione del Torcasio “non abbiamo mai parlato delle ragioni del pentimento di Angelo Torcasio, mai, né in carcere, fuori”.

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Il controesame dell’avvocato Murone si è, invece, concentrato sulla posizione del dottore Carlo Curcio Petronio, che la donna ha detto di aver visto solo in un occasione e per pochi minuti “con Giuseppe siamo andati all’ospedale da questo medico, ricordo solo che era un ortopedico, e che mi face una visita veloce, mi chiese solo di alzare la mano destra e poi fece il certificato”.

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L’avvocato Renzo Andricciola ha chiesto alla collaboratrice di un sinistro illecito che Giuseppe Giampà avrebbe compiuto con l’auto della moglie “Giuseppe prese la mia macchina, mi disse che sarebbe andato dalla carrozzeria di Franco Trovato per mettere pezzi incidentati e fare delle foto, il giorno dopo me la riportò intatta”, versione che parrebbe contrastare con quella di Alessandro Villella che, parlando della stessa auto, avrebbe riferito di averla portare ad un’altra carrozzeria. Ultimo avvocato a porre le domande alla donna è stato Leopoldo Marchese che si è concentrato molto sul rapporto tra la Meliadò e Alessandro Torcasio “Cavallo”, un rapporto che i due avrebbe intrattenuto dopo l’arresto di Giuseppe Giampà, fatto di pizzini e di consegne di denaro. Anche in questo caso le è stato chiesto se tramite Alessandro Torcasio avesse avuto notizie sulle dichiarazioni dei primi collaboratori di giustizia della cosca, ma la Meliadò ha continuato a smentire. L’avvocato Marchese ha infine chiesto se la donna avesse mai avuto una relazione sentimentale con il Torcasio, “avevo 14 anni, se scambiare qualche messaggio e parlare si può definire una relazione, allora sì”.
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La donna dell’ex boss esce di scena, per cedere il posto ad un’altra donna del clan, Rosanna Notarianni, che ha raccontato un’altra visione dell’essere donna di ‘ndrangheta, avendo vissuto anche i soprusi e le minacce, non solo favori e la bella vita. Rosanna Notarianni, che non si è presentata nell’udienza odierna, sarà ascoltata il prossimo venerdì.