Chimera: Luciano Arzente primo pentito della cosca “Cerra-Torcasio-Gualtieri”

Lamezia Terme – “Chimera”, il nome in codice che gli inquirenti hanno dato all’ultima operazione antimafia su Lamezia, rappresenta un ulteriore archivio criminale. A differenza di “Medusa” e “Perseo”, le altre denominazioni con le quali sono state indicate le precedenti operazioni della Direzione distrettuale antimafia nate subito dopo le confessioni di alcuni collaboratori di giustizia, l’operazione “Chimera” ricostruisce lo scenario criminale della cosca “Cerra-Torcasio”, un tempo autonoma e poi alleata con quella dei Giampà. Alla cosca “Cerra-Torcasio”, in epoca successiva alla scissione, si è avvicinata la famiglia “Gualtieri” che fino al 1992 non era inserita nel contesto mafioso come famiglia autonoma o aggregata ad altre consorterie criminali lametine. “Chimera” ricostruisce infatti lo scenario storico-criminale del clan mafioso “Cerra-Torcasio-Gualtieri”, che dopo la disarticolazione delle “cosca Giampà”, a seguito delle operazioni “Medusa” e “Perseo”, approfittando “del declino dei Giampà, è l’unica cosca delinquenziale che attualmente opera indisturbatamente in Lamezia Terme Nicastro, al fine di dominare tutto il quartiere di Nicastro”.
A questa conclusione giunse il gruppo investigativo composto da 14 Carabinieri, coordinati dal maggiore Carlo Caci, comandante del Reparto operativo – Nucleo investigativo del Comando provinciale e dal capitano Fabio Vincelli, comandante della Compagnia carabinieri di Lamezia Terme.
Le indagini dell’operazione “Chimera 1”, da cui è scaturita anche “Chimera 2”, sono importantisime per un altro aspetto: hanno infatti “partorito” un pentito, il primo della cosca “Cerra-Torcasio-Gualtieri”.

 

Si tratta di Luciano Arzente, 26 anni, finito anche lui nell’inchiesta “Chimera”, che ha deciso di collaborare, raccontando agli inquirenti tutto ciò che è a sua conoscenza sulla cosca di cui faceva parte, fino al giorno in cui ha deciso di “pentirsi”. E’ la prima persona di questa organizzazione criminale a pentirsi.
Luciano Arzente è accusato di essere stato partecipe all’associazione ndranghetistica dei “Cerra-Torcasio-Gualtieri”, interessandosi in ambito associativo, unitamente a Umberto Egidio Muraca (pentito e che più volte ha tirato in ballo Arzente), Angelo Francesco Paradiso, Antonio Paradiso, Paolo Panne e Nino Cerra (classe 1991), alla commissione di reati di natura estorsiva nei confronti di imprenditori economici e commerciali del lametino. Dopo circa un mese dal suo arresto, Arzente ha deciso di diventare un collaboratore di giustizia, descrivendo lo scenario criminale della cosca alla quale apparteneva e delineando il ruolo che ognuno degli appartenenti al clan svolgeva nell’ambito dell’organizzazione criminale. Rivelazioni che hanno consentito alla Dda di Catanzaro di emettere un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di Juan Manuel Ruiz, ritenuto responsabile del reato di concorso in estorsione aggravata dalla metodologia mafiosa nei confronti di un commerciante di articoli sportivi di Lamezia Terme.
Secondo Arzente “Ruiz Manuel è anch’egli inserito a pieno titolo nella cosca Cerra-Torcasio-Gualtieri in quanto è fidanzato con la cugina di Nino Cerra (classe 91), che si chiama (omissis) e per conto della cosca si occupa principalmente dello spaccio di sostanza stupefacente del tipo marijuana unitamente al fratello minorenne”. Arzente ha deciso di iniziare la sua collaborazione con la giustizia perché temeva “per la sua incolumità e per quella dei suoi familiari”. Ma la scelta è stata dettata anche dalla sua volontà “di cambiare vita e di non avere più rapporti con le altre persone che vengono citate nell’ordinanza che mi avete notificato”. Era il 20 novembre dello scorso anno quando Arzente ha deciso di diventare collaboratore di giustizia, ammettendo davanti al magistrato inquirente le sue “responsabilità in ordine alle vicende delittuose che mi vengono contestate sia nella cosiddetta ordinanza “Perseo” sia in quest’ultima ordinanza (Chimera ndr) che mi è stata notificata relativa alla partecipazione alla cosca “Cerra-Torcasio-Gualtieri” anche se intendo fare alcune precisazioni e chiarificazioni”. Nell’ammettere la sua responsabilità riguardo alla tentata estorsione ai danni di un commerciante d’articoli sportivi, che gli fu contesta nell’ordinanza “Perseo”, Arzente ha spiegato che “la stessa sia stata determinata dal fatto che fui mandato a chiedere due paia di scarpe al titolare del negozio “Cortese Sport” su richiesta specifica di Antonio Paradiso, fratello di Angelo Francesco Paradiso; in particolare fu Johan Ruiz Manuel, che abita nei pressi del distributore Agip situato nella zona di Capizzaglie, che venne presso casa mia a dirmi che Antonio Paradiso mi doveva parlare e quindi ci recammo entrambi presso la casa di quest’ultimo. Ciò avvenne nell’anno 2012, la mattina stessa della tentata estorsione. In un primo momento – racconta – mi rifiutai di effettuare questa estorsione ma poi ebbi paura conoscendo la personalità di Antonio Paradiso e la famiglia a cui apparteneva cioè quella dei Cerra-Torcasio-Gualtieri”.

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Un’estorsione alla quale Arzente prese parte perché temeva delle ritorsioni, in quanto “qualche tempo prima avevamo subito in famiglia una serie di atti intimidatori e danneggiamenti tra cui ricordo l’ordigno esplosivo che fece esplodere la macchina di mio fratello, tra il 2011 e il 2012, nonché la sparatoria alle serrande della pizzeria di mio cugino, nonché un’altra sparatoria effettuata contro l’autovettura di una ex mia cognata”. Attribuendo “la paternità di questi atti intimidatori e danneggiamenti alla personalità di G. G. da me conosciuto come mafioso appartenente alla cosca dei Giampà, con il quale figlio poco tempo prima dei danneggiamenti ebbi una diatriba legata ad un sinistro stradale da lui provocato nei miei confronti con le autovettura Lancia Y da me condotta e la sua jeep Rexton, sinistro in relazione al quale tale figlio di G.G. a nome Angelo mi aveva sollecitato più volte a dividere al 50% l’indennizzo assicurativo”. Richiesta alla quale Arzente si “rifiutò decisamente, anche perché ritenevo che mi avesse tamponato di proposito visto che si era fidanzato con una mia ex fidanzata. Fatto sta – racconta nel verbale – che dopo questo mio rifiuto avvennero i danneggiamenti e specifico anche che la mia ex cognata, vittima anche lei di uno dei tre danneggiamenti, aveva fatto da testimone a mio favore nell’ambito della pratica assicurativa per il risarcimento del danno”.

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Nel suo primo verbale Arzente si è assunto la responsabilità del reato di associazione mafiosa che gli è stato contestato con l’ultima ordinanza che gli è stata notifica nell’ambito dell’operazione “Chimera”, spiegando che “i rapporti con taluni dei soggetti che nell’ordinanza vengono indicati e in particolare con i fratelli Antonio e Angelo Francesco Paradiso, con Nino Cerra (classe 91), con Francesco Torcasio “Carrà”, con Umberto Egidio Muraca sono iniziati nel 2010-2011, soprattutto con riferimento al mercimonio di sostanze stupefacenti del tipo marijuana”. Riferendo, poi, che era conoscenza che “gli stessi si approviggionavano anche di cocaina” e che lui stesso era “assuntore di sostanza stupefacente del tipo marijuana e in genere mi rifornivo di 50-100 grammi ogni volta e per recuperare del danaro anch’io spacciavo 5-10 grammi di marijuana alla volta”.