Chimera: il cognato del “padrino” temeva di essere ucciso

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di Stafania Cugnetto

– Lamezia Terme – Lo scenario criminale lametino riserva sempre delle sorprese. La storia criminale di questi ultimi dieci anni non riguarda solo la cosca Giampà, colpita dalle operazioni “Medusa” e “Perseo”, ma anche la cosca dei “Cerra-Torcasio-Gualtieri”. Un quadro criminoso che emerge dalle migliaia di pagine che compongono l’enorme fascicolo dell’operazione “Chimera”. E spulciando tra i rit e gli allagti si scopre che anche chi apparteneva alla cosca Giampà conosceva i componenti e gli illeciti della cosca avversaria. Infatti, tra i fascicoli, si trova anche un verbale che racchiude delle dichiarazioni di Francesco Mario Meliadò, 23 anni, fratello di Franca Teresa Meliadò e quindi cognato dell’ex boss Giuseppe Giampà. Il soggetto pur non essendo collaboratore di giustizia ha risposto nell’ottobre del 2012 alle domande degli inquirenti, fornendo informazioni non solo sulla cosca guidata da suo cognato ma anche su quella rivale dei “Cerra-Gualtieri-Torcasio”.

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Francesco Mario Meliadò, ha rilasciato, in quell’occasione, dichiarazioni spontanee su fatti a sua conoscenza, accaduti sia prima dell’arresto di Giuseppe Giampà ma anche successivi. Meliadò non si è definito appartenente alla cosca del cognato, ha spiegato infatti agli inquirenti che “Giuseppe cercava sempre di non coinvolgermi in queste azioni illecite e mi diceva sempre di tenermi fuori dal commettere azioni del genere”. Il cognato del “padrino”, ha raccontato di aver rubato delle pistole e di averle rivendute a Giampà, e di aver venduto solo in un occasione 4 grammi di cocaina datagli dal cognato. Meliadò dopo l’arresto di Giuseppe Giampà, ha consegnato dei “pizzini” provenienti dal carcere agli affiliati della cosca e ricevette da uno di questi delle somme di denaro, probabilmente provenienti da estorsioni. Ma Meliadò ha fatto anche i nomi della cosca rivale, infatti il giovane divenne bersaglio facile per gli esponenti del clan “Cerra-Torcasio-Gualtieri”. “Temevo per l’incolumità della mia vita; infatti da diverso tempo in ogni luogo in cui mi recavo, anche in presenza di mio padre, notavo alcuni giovani tra cui Nicola Gualtieri, di circa 20 anni (di grossa corporatura, detto “il porco”) che so essere il figlio di Cesare, meglio identificato come quello che ha il viso rovinato; Nicolino Gualtieri, che è poco più piccolo di me e che so essere il figlio di quello che fa il muratore ed abita anch’egli al quartiere Trempa; Gennaro Muraca, che abita a Capizzaglie e che so avere una sorella a nome Veneranda, sposata con Enzino Torcasio; Ottorino Rainieri, imparentato con i Gualtieri, Paradiso Francesco, di circa 19 anni che ha una fiat panda di colore nero, imparentato con quel giovane a nome Paradiso Francesco di Capizzaglie, che è stato sparato mentre si trovava in compagnia di Umberto Egidio Muraca e che so essere stato arrestato nell’operazione “Medusa”, e Luciano Arzente che conosco come appartenenti alla cosca Torcasio-Gualtieri, contrapposta a quella di mio cognato Giuseppe Giampa’, oltre ad effettuare numerosi passaggi nei luoghi dove abitualmente mi recavo transitavano nel parcheggio davanti casa mia e ovunque andavo mi osservavano con insistenza”. Meliadò ha raccontato anche gli strani movimenti tra gli affiliati delle due cosche “Dopo l’arresto di mio cognato Giuseppe, trascorsi circa tre mesi, notavo che i soggetti poc’anzi menzionati, tra cui i Trovato, iniziavano a frequentare Ottorino Rainieri, Gennaro Muraca ed altri appartenenti alla famiglia Torcasio-Gualtieri, evitando anche la mia compagnia e quella degli altri appartenenti alla famiglia Giampa’”.
Il giovane inoltre ha raccontato di essersi talmente spaventato da decidere di non recarsi più a lavoro “la circostanza che mi fece impaurire in modo particolare e che mi porto ad avere la certezza di essere un bersaglio per i Torcasio-Gualtieri e per la quale decisi di allontanarmi da Lamezia si è verificata allorquando una sera di fine agosto, uscendo dalla pizzeria “San Patrick”, sita in una traversa del Corso Numistrano, trovai ad attendermi Nicola Gualtieri “il Porco” il quale si rivolgeva a me dicendomi le testuali parole: “Com’è non uscite più da casa? Stiamo girando ma non ci siete mai?” io nell’occorso gli risposi che non è come lui diceva e che ero sempre in giro per Lamezia e che non temevo nulla per dovermi nascondere e mi allontanavo dal luogo rincasando; in seguito di ciò, avendo avuto tale conferma e presomi dalla paura di essere ucciso non sono più uscito di casa e non mi recavo neanche più a lavoro”.
La paura del Meliadò venne poi confermata dallo stesso Giuseppe Giampà che durante un colloquio in carcere “ebbe a dirmi di stare attento ad eventuali azioni cruente nei miei confronti e io capii che faceva riferimento alla cosca avversaria dei Torcasio – Gualtieri; anche mia sorella Teresa franca, parlando mi diceva sempre di fare molta attenzione quando uscivo in giro per Lamezia, tant’è che più volte mi supplicava di andarmene da Lamezia Terme poiché era fortemente preoccupata che potessi essere bersaglio della cosca Torcasio – Gualtieri”.