Processo Perseo: Angotti, “Aurelio Notarianni e la pistola dell’omicidio Aversa”

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di Claudia Strangis

– Lamezia Terme – Dopo la faticosa deposizione di Rosanna Notarianni della scorsa udienza, oggi in aula al Tribunale di Lamezia, nell’ambito del processo Perseo, è stata la volta del marito Giuseppe Angotti, il primo pentito del ventunesimo secolo, le cui dichiarazioni sono state alla base dell’informativa denominata “Cerbero”, confluita poi nell’ordinanza “Medusa”. Il collaboratore di giustizia, che ha contribuito a ricostruire i legami della “famiglia Notarianni”con la cosca Giampà, raccontando ruoli e azioni delittuose, in aula ha risposto alle domande del pubblico ministero Elio Romano incentrate soprattutto sui familiari di sua moglie Rosanna e i rapporti intercorsi negli anni tra i “Notarianni” e il clan. Un racconto che è partito dalla fine degli anni ottanta, quando Angotti già era sposato con Rosanna Notarianni. Questo legame gli ha permesso di venire a conoscenza, in prima persona, di molte delle azioni criminali commesse dai cognati. Due ore di escussione del teste, che ha parlato delle principali attività illecite della “famiglia Notarianni” che andavano dallo spaccio di droga, all’usura, alle estorsioni, al controllo del territorio per conto della famiglia Giampà, “i miei cognati – ha specificato – potevano farlo perché “il professore” (Francesco Giampà ndr) gli aveva dato questo potere”; arrivando fino alle azioni omicidiarie. Proprio sui fatti di sangue, due episodi sono stati raccontati da Giuseppe Angotti. Il primo, riguarda l’omicidio di Pasquale Giampà “tranganiello”, ucciso il 23 settembre del 1992; mentre l’altro riguarda il duplice omicidio del sovrintendente di polizia Salvatore Aversa e della moglie Lucia Precenzano, freddati sempre nel 1992, il 4 gennaio, qualche mese prima dell’omicidio di Giampà. Secondo il pentito, Aldo Notarianni gli avrebbe confidato di “aver avuto a che fare con l’omicidio di Pasquale Giampà tranganiello”, mentre in un’altra occasione vide Aurelio Notarianni maneggiare una pistola calibro 9, e il cognato gli avrebbe detto “che la pistola automatica era quella che uccise Aversa e sua moglie”. Due rivelazioni che potrebbero aprire nuove strade e fare luce su due degli innumerevoli fatti di sangue che hanno colpito Lamezia negli anni novanta. Giuseppe Angotti ha raccontato, inoltre, di come i cognati tenessero sotto scacco molti negozi e attività commerciali lametine, “percependo una mensilità per la protezione”, avendo avuto il benestare del “professore” che “gli aveva dato il potere di raccogliere i soldi delle estorsioni”. Il pentito ha poi raccontato dall’attività di usura dei cognati, che percepivano interessi mensili del 10% sulle somme prestate e di come avrebbero intrattenuto rapporti con alcune banche “per cambiare assegni” o di quando costringevano gli imprenditori sotto estorsione ad assumere lui e altri familiari o, comunque, persone vicine alla “famiglia”. I rapporti tra Angotti e i “Notarianni” si interruppero quando lui si trasferì per un periodo a Civitanova Marche e contemporaneamente la moglie Rosanna fu ricoverata in ospedale perché assunse delle gocce, come poi lei stessa ha ammesso nella scorsa udienza. Il pentito ha raccontato che, in quella occasione, i rapporti, già incrinati da tempo, si troncarono bruscamente perché lui capì che i cognati e il suocero volevano eliminarlo: “Giuseppe Notarianni – ha affermato in aula il collaboratore – mi salutò con un bacio di morte”. Segno, secondo il collaboratore, di una vera e propria sentenza di morte da parte di tutta la “famiglia Notarianni”. Angotti tornerà in aula martedì 24 per il controesame dei difensori.