Perseo: Rosario Cappello, “io non decidevo, ero solo informato”

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– di Stefania Cugnetto
Lamezia Terme – Le domande che ci si è posti stamattina in aula Garofalo, durante il controesame del collaboratore di giustizia Rosario Cappello sono: quale ruolo aveva all’interno della cosca Giampà? Cappello aveva ruoli decisionali? Domande che hanno trovato risposta durante il controesame dell’avvocato Aldo Ferraro, infatti seppur il pentito abbia riferito di essere parte integrante della cosiddetta commissione della cosca Giampà, oggi in aula ha dichiarato “io non decidevo ma ero solo informato”. Questo sarebbe in sintesi il ruolo ricoperto dal collaboratore, che ha ripercorso le tappe del suo ingresso nella consorteria mafiosa che faceva capo a Giuseppe Giampà, raccontando di come la sua entrata nella cosca sia stata voluta da Vincenzo Bonaddio. Un controesame che ha delineato la figura di Cappello come subordinata a quella del cognato Vincenzo Arcieri, infatti, rispondendo alle domande dell’avvocato Galeota, il pentito ha descritto le varie estorsioni compiute dalla ‘ndrina della montagna, quella appunto dei Cappello e degli Arcieri, ma ha spesso ripetuto “se n’è occupava mio cognato, poi dividevamo i soldi”.

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Cappello non avrebbe, quindi, mai avanzato personalmente le richieste estorsive, né compiuto atti intimidatori, queste erano tutte mansioni di cui, a detta del collaboratore, si occupava Vincenzo Arcieri. Rosario Cappello, non solo sembra non aver mai avuto un ruolo di rilievo nella cosca Giampà, ma non ne avrebbe condiviso alcune scelte, “non ero d’accordo con tutti quei omicidi, ma non lo dissi a nessuno”. Il collaboratore ha anche riferito di aver cercato di impedire l’omicidio di Federico Gualtieri, “non ero d’accordo, e quando mi chiesero se avessi visto la vittima nel punto in cui doveva essere ucciso, ho detto che non c’era anche se era lì”. Un dissenso che Rosario Cappello, dimostrò allontanandosi  pian piano dalla cosca. Dunque, un ruolo non di certo operativo, che ha lasciato sorgere qualche dubbio nella difesa sulle reali informazioni in possesso del pentito. A scavare nei perché della scelta collaborativa di Cappello, è stato, invece, l’avvocato Francesco Pagliuso.

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Il collaboratore ha riferito di aver intrapreso questa scelta, dopo la decisione del figlio “mio figlio si buttava pentito, io cosa dovevo fare” ha affermato. L’avvocato Pagliuso ha chiesto al collaboratore se avesse mai dato informazioni alle forze dell’ordine prima della sua collaborazione, Cappello ha risposto affermativamente, spiegando di essere stato in buoni rapporti con un ispettore della dda di Catanzaro, “una volta gli ho detto dove trovare un fucile che era stato usato per un’intimidazione” ed ha poi aggiunto di aver parlato con questo ispettore anche della sua scelta di pentirsi. Il controesame dell’avvocato Di Renzo si è concetrato sulla lite, finita in sparatoria, che coinvolse i figli di Rosario Cappello, Giuseppe e Saverio, e i fratelli Trovato, argomento su cui è tornato anche l’avvocato Staiano. Il racconto della lite non è apparso chiaro, ma il collaboratore ha raccontato di essere intervenuto solo giorni dopo, invitando i Trovato ad un chiarimento ed interpellando Vincenzo Bonaddio. L’avvocato Pino Spinelli si è invece concentrato sul rapporto tra Angelo Torcasioe e Giuseppe Giampà, chiedendo al collaboratore se sapesse le motivazioni della scelta collaborativa del Torcasio. Cappello ha riferito che Giampà aveva intenzione di uccidere Angelo Torcasio. All’inzio dell’udienza odierna l’avvocato Leopoldo marchese ha reso noto al tribunale la volontà di non difendere più Eric Voci, imputato nel processo Perseo.
Con la fine del controesame di Rosario Cappello, il tribunale, presieduto dal giudice Carlo Fontanazza, dovrà ascoltare gli ultimi due collaboratori chiamati a testimoniare dal pubblico ministero, Elio Romano. Venerdì 19 si tornerà in aula e collegato in videoconferenza ci sarà, il figlio di Rosario Cappello, Giuseppe.