-di Claudia Strangis
Lamezia Terme –L’ex fidanzato di Vanessa Giampà, Alessandro Villella, è stato il principale testimone e protagonista oggi nell’aula del Tribunale di Lamezia dove si sta celebrando il processo Perseo. Un fiume in piena di rivelazioni, durante la sua deposizione, chiamato a testimoniare dal pubblico ministero Elio Romano. Infatti, ha deciso di parlare nonostante imputato in procedimento connesso e già condannato con sentenza di primo grado in abbreviato. Villella, comunque, nella fase inziale della sua deposizione ha tenuto a precisare di “non essere un collaboratore di giustizia” e di aver rilasciato “delle dichiarazioni auto accusatorie” e che, nonostante abbia conosciuto molti degli imputati, non si sente, né si sentiva, un affiliato: “ho fatto favori a Giuseppe perché lo dovevo fare ma non mi sento un associato”. Il rapporto con l’ex cognato lo definisce “una sfortuna”. Una sfortuna, secondo Villella, è stato conoscerlo perché fratello della sua ex fidanzata, cosa che non gli avrebbe permesso di svincolarsi quando Giuseppe Giampà gli chiedeva qualche favore, come detenere armi o sostanze stupefacenti: “non potevo negarglielo” ha spiegato al pubblico ministero, che gli ha chiesto poi se sapesse che Giuseppe Giampà fosse inserito nella criminalità organizzata lametina. Lapidaria la risposta di Villella: “e chi non lo sapeva?”.
Il pubblico ministero Elio Romano ha cercato di scavare più a fondo nei fatti di cui Villella ha ammesso di essere venuto a conoscenza, sia in maniera diretta che indiretta,non solo per quanto riguarda lo spaccio di droga o la detenzione di armi, ma in modo particolare le truffe assicurative. Infatti il focus dell’esame del teste sono stati i falsi incidenti.
L’intero racconto si è incentrato sulla figura di Giuseppe Giampà, descritto più volte come un uomo al quale “non si poteva dire di no”. Anche per quanto riguarda i falsi incidenti, poiché secondo Villella, i personaggi coinvolti erano “obbligati” a rendere favori all’ex boss, come nel caso dell’agente assicurativo Mascaro, o di Franco Trovato, costretto, secondo Villella, ad aggiustare le auto che Giuseppe Giampà portava in carrozzeria tanto che, secondo il racconto del teste, lo stesso Trovato si sarebbe lamentato con lui dei favori che doveva rendere al boss. Particolare emerso anche durante il controesame dell’avvocato Di Renzo, nel corso del quale Villella ha riferito che “Franco Trovato non poteva rifiutarsi e subiva questa situazione”, e che il loro era un rapporto improntato sulla paura. “Franco – ha spiegato – si trovava in una zona in cui comandava Giuseppe e quindi doveva fare quello che diceva, senza tante spiegazioni. Non poteva opporsi altrimenti poteva considerarsi un uomo morto”. Giuseppe Giampà, quindi, ne è uscito, dai racconti dell’ex cognato, come un uomo di cui aver timore, e più volte ha ripetuto questa frase “chi non aveva paura di Giuseppe Giampà?”.
Un’udienza che ha visto salire sul banco dei testimoni anche Nicola Vergori, capocantiere della ditta dei fratellli Petrone, già testi nell’udienza del 20 agosto scorso. Il nome di Vergori era spuntato durante la deposizione di Giandomenico Petrone, che ha raccontato di quando Pino Scalise si andò a lamentare con il capocantiere perché i suoi mezzi non lavoravano. Vergori ha negato questo episodio, e da qui è nata la necessità di un confronto diretto tra i due, messi uno di fronte all’altro davanti al collegio con la finalità di chiarire la veridicità dei fatti. Vergori ha continuato sulla sua posizione, affermando di non ricordare. Particolare che non ha convinto il presidente del collegio Carlo Fontanazza e il pubblico ministero Elio Romano che ha chiesto da chi fosse stato accompagnato oggi in aula. Vergori ha affermato che ad accompagnarlo al processo è stato proprio Felice Petrone, ex amministratore della ditta, confermando di essersi intrattenuto qualche minuto a parlare con lui fuori dall’aula. Il presidente ha chiesto spiegazioni su questo punto ma i non ricordo hanno prevaricato sulla memoria del teste.
Primo, invece, degli imputati in questo procedimento, ad essere ascoltato in aula, è stato Fausto Gullo, accusato da alcuni collaboratori di aver rifornito la cosca di polvere da sparo e bombe fatte in casa. Accuse completamente respinte dall’imputato che ha ammesso di conoscere solo Franco Trovato e che il suo legame con la cosca si era limitato al rifornimento di qualche fuoco d’artificio per alcuni avvenimenti. Chiusa l’udienza di oggi, sono conclusi anche i testimoni chiamati dalla pubblica accusa. Da mercoledì saranno quelli della difesa ad andare sul banco dei testimoni.