Processo Piana: presidente collegio incompatibile?

processo-piana-120116-1Lamezia Terme – E’ ripreso dopo circa due mesi dall’ultima udienza il cosiddetto processo “Piana” e che vede coinvolti gli imprenditori Francesco Cianflone e Antonio Gallo, ma rischia di slittare per l’incompatibilità del presidente del collegio, in virtù del fatto che il pubblico ministero nell’udienza di oggi ha allegato agli atti processuali le sentenze di primo grado del processo Perseo che si è svolto davanti ala tribunale lametino con il rito ordinario di quello in abbreviato e le dichiarazioni di Saverio Cappello rese in entrambi i filoni processuali. L’incompatibilità è emersa nella fase della deposizione degli atti, quando, appunto i difensori hanno fatto rilevare che il presidente del collegio giudicante era Francesco Aragona, magistrato che ha fatto parte del Collegio del processo Perseo che ha emesso sentenza in data 16 dicembre 2015”, da qui secondo i difensori che non hanno comune fatto opposizione al deposito degli atti del pubblico ministero, il profilo di incompatibilità o di astensione dalla trattazione del processo. Profili che il Presidente Aragona ha fatto verbalizzare da qui la scelta di rimettere gli atti al Presidente della sezione penale affinché valuti la posizione di incompatibilità. Ed il giudice Aragona la termine dell’udienza ha dichiaro “di astenersi dalla trattazione in attesa della pronuncia del Presidente della sezione penale”. Slitta quindi il processo, che oggi avrebbe dovuto vedere come protagonista uno dei tenti collaboratori giustizia ed esattamente Saverio Cappello già sentito nei processi Perso si nel rito ordinario che in abbreviato. Nell’ultima udienza era invece comparso il secondo collaboratore di giustizia della storia criminale lametine del XXI secolo, un pentito ritenuto attendibile ma che, nel 2005 venne condannato per aver accusato, pur sapendolo innocente, un agente di polizia
Battista Cosentino nell’udienza del 16 gennaio scorso, nell’aula Garofalo del tribunale di Lamezia, con una serie di “non ricordo”, “non so”, “non li ho visti con gli occhi miei”, “non li conosco”, accusò Francesco Cianflone e Antonio Gallo di essere “conniventi” con il clan Giampà. Secondo Cosentino i due imprenditori erano vicini al clan riuscendo così a prendere “facilmente” appalti per lavori edilizi sul territorio lametino. Il Cosentino rispondendo alle domande del pubblico ministero, Elio Romano, ricostruì la sua versione dei fatti in ordine a come il Cianflone fornisse alle ditte il cemento per la costruzione di immobili privati e pubblici, sostenendo per tale “cortesia” veniva sponsorizzato da Vincenzo Bonaddio, al quale l’imprenditore avrebbe consegnato grossi importi. Il collaboratore, definendosi “simpatizzante della cosca”, spiegò al tribunale che “ogni lavoro che si faceva a Lamezia doveva essere affidato a Cianflone”, mentre sull’imputato Gallo, Cosentino riferì di “conoscerlo solo di vista” , “ma so che era a disposizione della cosca”. La credibilità del Cosentino fu messa in dubbio dall’avvocato Francesco Pagliuso, difensore di Antonio Gallo, che nel controesame fece emergere qualche contraddizione rispetto alle accuse mosse nei confronti del suo assistito consegnando, poi, al collegio la sentenza con la quale Cosentino nel 2005 fu condannato dal tribunale di Lamezia per aver accusato un ispettore della Polizia.