Lamezia: immobile sequestrato intestato alla moglie di “O Prufessuri”

palazzo-contrada-piroLamezia Terne – L’immobile sequestrato questa mattina alla “famiglia” Giampà non è registrato a nome di Francesco Giampà.
Il palazzo di quattro piani, ubicato in contrada Piro, è intestato a Pasqualina Bonaddio moglie del professore che occupava il piano terra della struttura che è stata costruita negli ultimi anni. Il primo piano dell’immobile era occupato dal figlio della Bonaddio, Giuseppe Giampà che dopo il suo arresto nel luglio del 2011 divenne collaboratore di giustizia svelando così tutti i “segreti della famiglia”, ritenuta dagli inquirenti una della “cosche” più potenti di Lamezia.
Il secondo piano del Palazzo è occupato da Vanessa Giampà. Mentre all’ultimo vi abita Rosa Giampà. Un immobile che è stato stimato intorno agli 800mila euro e che per gli inquirenti è riconducibile all’attività di Francesco Giampà alias “O Prufessuri”, che secondo le risultanze investigative “di carattere tecnico e delle dichiarazioni rese dai vari collaboratori di giustizia, panoramica-palazzoacquisite nell’ambito dell’operazione “Medusa”, detiene il grado di “Crimine” o “Capo- Società” e riveste il ruolo di capo storico della cosca, quest’ultima riconosciuta quale “locale” in Lamezia Terme dalle altre famiglie di `ndrangheta operanti sull’intero territorio nazionale. Francesco Giampà, sebbene sia attualmente detenuto, all’ergastolo, per gravi reati (fra i quali si annoverano l’omicidio di Salvatore Andricciola avvenuto a Forlimpopoli (FO) in data 27.10.1991 e il duplice omicidio ai danni del Sovrintendente della Pubblica Sicurezza, Salvatore Aversa e della di lui moglie Lucia Precenzano, avvenuto in Lamezia Terme in data 04.01.1992 ed in relazione ai quali il predetto “Professore ebbe ad avere il ruolo di mandante)”, per gli inquirenti “è ancora
riconosciuto dagli affiliati o comunque dai partecipi dell’associazione sopra indicata, come attuale capo, in grado di gestire gli affari della cosca, anche dal carcere, attraverso le cd. “imbasciate” comunicate in genere mediante i suoi prossimi congiunti durante i colloqui ovvero attraverso talune comunicazioni epistolari “in codice”.” Aspetti questi che sono stati svelati dai collaboratori di giustizia che hanno reso dichiarazioni nell’ambito dell’operazione Medusa, prima e Perseo, dopo. Affermazioni che avrebbe avuto un riscontro nel corso della attività tecniche eseguite sia dagli investigatori. A riferire che Francesco Giampà è ancora il capo dell’omonimo cosca sarebbero stati i collaboratori di giustizia Angelo Torcasio, detto porchetta, Battista Cosentino, Antonio Recchia, Giuseppe Angotti, Rosanna Notarianni, Saverio Cappello e Rosario Cappello. Dichiarazioni secondo gli investigatori che convergono tutte nell’inquadrare panoramica-palazzo1Francesco Giampà, detto “Professore”, quale capo-società dell’omonimo locale di “’ndrangheta sedente in Nicastro di Lamezia Terme”, e che ancora “gestisca e coordini, benché detenuto ed ergastolano, gli illeciti affari della cosca, mediante comunicazioni scritte e orali che intercorrono coi propri congiunti nel corso dei colloqui carcerari”. Francesco Giampà sarebbe divenuto capo dell’omonima cosca negli anni ’90, a seguito della morte dell’allora reggente Pasquale Giampà (alias “Tranganiello”), deceduto a seguito di un omicidio avvenuto in data 23.09.1992. Gli inquirenti non hanno dubbi Francesco Giampà “benché detenuto da diversi anni è tuttora considerato elemento di spicco nell’ambito del contesto criminoso locale e risulta capo carismatico della cosca”.
Il nucleo familiare dei Giampà avrebbe dichiarato per quasi 15 anni redditi di poco superiori ai 140 euro mensili. Secondo quanto scrivono i giudici della sezione Misure di prevenzione nel provvedimento eseguito questa mattina, “e’ possibile ravvisare una evidente e non colmabile sproporzione tra i redditi dichiarati dal nucleo familiare di Francesco Giampa’ e le possidenze accertate in capo allo stesso nucleo”. In particolare, i membri della famiglia nel periodo compreso tra il 1997 e il 2012 hanno dichiarato redditi per un totale di 27.267 euro ossia 142,01 al mese. “Una somma – scrivono i giudici – palesemente inidonea a soddisfare le esigenze di un nucleo familiare composto da tre persone e fino al 2005 da quattro membri”. Inoltre, in questo periodo di tempo la stessa famiglia ha acquistato macchine e soprattutto ha edificato e arredato una abitazione definita “lussuosa” dagli inquirenti. Alla luce di questi elementi secondo i giudici la cifra dichiarata e’ da ritenere “del tutto irrisoria”.