Processo Perseo: D’Agosto assolta dall’accusa di concorso esterno

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Lamezia Terme – A tre anni di distanza dal suo coinvolgimento nell’inchiesta “Perseo” della Dda di Catanzaro, l’avvocato Tiziana D’Agosto è stata assolta. Un sentenza che fa piena luce su un arresto che allora fece scalpore oltre che per il suo coinvolgimento, anche per l’arresto di altri due avvocati: Chicco Scaramuzzino e Giuseppe Lucchino quest’ultimo anche lui assolto dal giudice dell’udienza preliminare del tribunale di Catanzaro, Giuseppe Perri. La D’Agosto, che è statdifesa dagli avvicati, Francesco Gambardella e Luigi Maurizio D’Agosto, fu arrestata con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Imputazione che oggi è venuta meno perché per il giudice dell’udienza preliminare di Catanzaro la penalista lametina, che trascorse alcuni mesi nel carcere di Lecce, ottenendo poi gli arresti domiciliari, il fatto non sussiste, in quanto l’imputazione formulata dal pubblico ministero, non avrebbe trovato riscontro nella fase processuale, (cioè non è stato provato); il fatto storico che è stato ricostruito dalla pubblica accusa non rientra nella fattispecie di reato dal punto di vista degli elementi oggettivi.

Secondo l’accusa, invece, la D’Agosto avrebbe svolto un ruolo sia di “paciere” in dispute interne alla cosca che di “informatore”. La penalista lametina fu accusata sulla base delle dichiarazioni di collaboratori di giustizia come Angelo Torcasio o Umberto Egidio Muraca ma, soprattutto, da quanto dichiarato dal boss Giuseppe Giampà, “testa di serie” tra i collaboratori di giustizia. Per la Dda “numerosi e diversi” sarebbero “gli specifici episodi ricostruiti in merito alla condotta dell’indagata, episodi alcuni dei quali riferiti in modo convergente da Torcasio e Giampà (c.d. vicenda Spes), altri invece oggetto del racconto dei singoli propalanti che, di persona, hanno vissuto le varie vicende narrate”. Dichiarazioni che per l’accusa rappresentavano “l’oggetto della imputazione” a carico delle penalista lametina che, secondo le dichiarazioni di Giuseppe Giampà e Angelo Torcasio, si sarebbe “prestata a portare all’esterno direttive di sodali detenuti o a veicolare a questi ultimi notizie provenienti da soggetti vittime dei reati contestati agli stessi indagati”), assicurando così la sua “ disponibilità alla cosca egli atti giudiziaria che gli esponenti di vertice hanno interesse, per i loro illeciti scopi, a conoscere”.

Ora quelle accuse sono cadute sulla base della sentenza emessa stamane dal gup di Catanzaro che ha appunto assolto la D’Agosto.

La lettera

A tre mesi dal suo coinvolgimento nell’inchiesta “Perseo” della Dda di Catanzaro, l’avvocato Tiziana D’Agosto ruppe il silenzio nella quale fu costretta dalla vicenda giudiziaria che la vide coinvolta. E lo fece inviando una lunghissima lettera ad un giornalista locale, facendo così conoscere il dramma che stava vivendo . In quella lettera che la penalista inviò, scrisse: “seppur ancora non riesco a rendermene conto, debbo, istante per istante, vivere una drammatica realtà che ha stravolto la mia persona, producendo, ovviamente, altrettanti effetti devastanti su tutti i miei familiari. In effetti ancora oggi non riesco a spiegarmi le ragioni per le quali mi trovo in questa drammatica situazione e perché determinati soggetti hanno ritenuto di dovermi infangare con accuse proditoriamente rivolte alla mia persona ed all’attività professionale da me svolta. Sarebbe sterile e, soprattutto, inconcludente trattare in questo momento il tema della fondatezza delle accuse rivoltemi dai proditori e speculatori dichiaranti. E’ solo la sede giudiziaria che vedrà l’approfondimento del tema con un epilogo, mi auguro (perché intimamente e fortemente convinta in tal senso), ampiamente liberatorio”.

Quello che gli fece paura, anzi la terrorizzò , “è che il sistema attuale consente a chi deliberatamente ed impunemente ha sempre delinquito facendo vanto delle vite umane soppresse (magari per uno sgarbo di poco conto), di decidere (oggi) sul destino della mia vita, stabilendo finanche, se io debba continuare a vivere e, magari, inibendomi anche di svolgere una professione nella quale ho sempre creduto e per la quale ho, finora, messo in secondo piano anche i miei affetti più cari”. L’avvocato pur non pretendendo “di avere più credibilità del delinquente-omicida o delinquente-estorsore, perché non penso che io debba essere messa su un piedistallo, mentre il bandito debba essere posto ai margini o comunque ad un livello inferiore al mio, però una credibilità alla pari di costui mi deve essere concessa. Ebbene, allo stato, – sottolineò – hanno vinto i delinquenti, hanno vinto costoro a cui viene acriticamente attribuita la definizione tecnica di collaboratori della giustizia”. Ed a questo punto la D’Agosto si pose in qualche misura una domanda, cioè “in generale, quale sia il concetto di giustizia che costoro hanno e quale sia la morale che li guida nell’uccidere (perché di uccidere si tratta) una persona (qualunque essa sia) con il loro dire, con il loro accusare (tutti e di tutto), quando, sempre costoro, hanno in precedenza decretato di togliere la vita (questa volta usando le armi) a decine di persone, soltanto perché qualcuno aveva osato non rispondere ad un loro saluto o veniva sospettato di turbare le iniziative illecite in corso di esecuzione”. Ed inoltre si domandò “è così difficile avere quantomeno un sospetto circa la credibilità di chi, benché dichiaratosi responsabile di efferati e cruenti omicidi, si trova oggi in libertà o agli arresti domiciliari per il sol fatto di aver “collaborato”? E’ d’uopo porsi la domanda se chi ha un “dna” malefico non esiti un solo istante ad accusare chiunque di qualsiasi misfatto, visto che in cambio ottiene la libertà in uno ad una retribuzione economica che lo Stato a costui garantisce”.
In questa amara vicenda giudiziaria che la vide coinvolta ciò che le fece “ulteriormente rabbia e nel contempo mi rende inspiegabile ogni istante che continuo a vivere costretta nella mia abitazione, è che esistono prove documentali (anche sentenze) che smentiscono perentoriamente il narrato di chi si erge a portatore delle più nefaste conoscenze, ma nonostante ciò tali dichiaranti continuano ad essere titolari di una patente di credibilità”. Ma quello che poi le fece “maggiormente specie è che vengo accusata (sempre dai noti dispensatori di morte) di aver fatto loro conoscere atti in mio possesso per motivi professionali”. Per la D’Agosto “se ciò fosse vero, sarei venuta meno al mio primo dovere di professionista che è quello della segretezza. Ebbene, proprio su quei fatti che io avrei svelato ed, invero, anche su altri che (ancora oggi) dovrebbero essere coperti dal vincolo del segreto per essere ancora in corso (proprio) l’indagine denominata “Perseo”, vi è stata – evidenziò – ed è tuttora in corso una quotidiana violazione del segreto istruttorio. Infatti, – spiegò – non solo su una specifica testata giornalistica vi è il quotidiano richiamo ai verbali delle dichiarazioni rese dai delinquenti ed aventi ad oggetto i vili fatti da essi commessi e le contemporanee responsabilità di terzi che non risultano nemmeno indagati nell’attuale fase, ma addirittura su alcuni siti vengono pubblicati, da oltre tre anni, i verbali integrali di trascrizione degli interrogatori dei delinquenti-dichiaranti”. E per quello che le interessava l’avvocato sottolineò che “non posso fare a meno di evidenziare l’incongruità dell’addebito da parte dei collaboratori (o pseudocollaboratori, mi sia consentito) che è ovviamente falso, visto che chi aveva intenzione di conoscere qualche particolare di indagine non aveva nemmeno necessità di individuare qualcuno disponibile a svelare qualcosa, bastando cliccare su determinati siti internet ed ogni curiosità veniva immediatamente tolta. Basta cliccare il nome o il fatto di interesse. Oppure basta leggere quel quotidiano”. L’indicazione di tale circostanza, precisò l’avvocato “viene effettuata non già ai fini di una indiretta discolpa, ma soltanto per proporre un dato oggettivo di comparazione che ha una sua incidenza diretta sul giudizio di credibilità a cui, anche sotto questo specifico tema, deve essere sottoposto il delinquente-dichiarante”. In quella circostanza sottolineò di volere attendere “in rispettoso silenzio di potere sviluppare gli argomenti tecnici a mia discolpa soltanto nella sede giudiziaria, ma non potrò mai metabolizzare il fatto che io mi debba discolpare perché un Giampà Giuseppe o un Torcasio Angelo qualsiasi hanno deciso (per fini ignoti che, secondo me, nulla hanno a che fare con la giustizia) di eseguire un altro degli attentati cui sono avvezzi sin da piccoli, uccidendomi”.

In casi analoghi “a quello che mi riguarda si suole dire – sottolineò – che si deve avere rispetto della giustizia. Io – aggiunse – ho rispetto per la giustizia, ma non mi si può certo chiedere di accettare supinamente le conseguenze di una fucilazione posta in essere da chi si è sempre posto contro la giustizia ed oggi si presenta al fianco della giustizia senza averne i requisiti”. E nella sua analisi la D’Agosto evidenziò che “se un soggetto vuole entrare a far parte delle Forze dell’Ordine viene sottoposto, giustamente, ad un’attenta e profonda analisi sulla sua persona, sulla sua storia e su quella dei suoi familiari sino alla quarta generazione. Se un bandito, omicida vigliacco, decide di porsi al fianco della giustizia, ha solo l’onere di dimostrare che è stato un delinquente abituale e che ha, nell’arco della sua vita, perseverato nel suo delinquere. Quindi il suo titolo di merito deriva dal fatto che ha ucciso, ha consumato estorsioni, ha usato violenza su persone e cose, e via dicendo. Questo è il nostro sistema. All’aspirante appartenente alle Forze dell’Ordine viene inibito l’accesso perché un suo familiare ha contravvenuto ad una norma edilizia, il delinquente invece si pone al fianco delle Forze dell’Ordine per avere prima ucciso numerose persone”. Tutto ciò, sottolineò la penalista lametina “potrebbe sembrare bieca o interessata retorica. Posso garantire che non è la mia situazione attuale a provocare queste considerazioni. Io l’ho sempre pensata così. Soltanto che fino al 26 luglio 2013 ho combattuto con il codice tra le mani per dimostrare che il rigore imposto dalla legge nella fase del giudizio sulla credibilità di un delinquente-dichiarante deve essere effettivo e non aleatorio”. Oggi, concluse “mio malgrado, mi hanno costretto a prendere atto che quel sistema che mi lasciava perplessa ed allarmata, oggi mi terrorizza e mi sopprime. Oggi mi rendo conto che quando il sistema prende di mira un soggetto, lo disintegra senza possibilità di repliche. Se infatti vi fosse quantomeno quell’equiparazione di posizione tra accusato ed accusatore si potrebbe arrivare ad un risultato quanto più vicino alla realtà. L’aberrante disparità in atto non sortisce nulla di positivo o di giusto. In conclusione non posso esimermi dal fare una finale considerazione: chi continuerà ad avallare ed alimentare acriticamente questo sistema, non si rende conto che un domani potrà esso stesso essere divorato dal sistema che lui ha perorato. Basta, soltanto, che qualcuno decida di distruggere un altro: ci riuscirà. Il sistema glielo consente”.